L’Ispanoamerica ha un problema di narcotraffico sin dall’epoca di Pablo Escobar e del cartello di Medellin ma è soltanto nell’ultimo ventennio che la questione ha assunto dimensioni continentali – complici l’atomizzazione delle realtà criminali, l’impoverimento generalizzato nel dopo-decada perdida e l’ossificazione della corruzione – finendo per travolgere in egual misura Messico e Colombia, Brasile e Paraguay, Argentina ed El Salvador.
Intere regioni dell’America Latina hanno assunto la forma di “zone grigie”, termine con cui la scuola neomedievalista delle relazioni internazionali fa riferimento a quegli “stati negli stati” in cui l’unica legge che viene rispettata è quella del crimine e dove le faide gangsteristiche, oramai divenute una parte integrante di una degenerata ordinarietà, vengono metabolizzate da abitanti orribilmente assuefatti alla violenza.
Nel solo Messico, la nazione più afflitta dal fenomeno del narcotraffico, negli ultimi quindici anni sono state uccise più di 300mila persone, 34mila delle quali l’anno scorso, oltre 82mila sono scomparse e 150mila sono state costrette a migrare altrove. Le guerre iugoslave, durate una decade, hanno mietuto meno vittime: 140mila morti e 12mila dispersi.
La globalizzazione ha accentuato l’impronta del fenomeno narco latinoamericano perché le principali mafie del mondo, dalla ‘Ndrangheta alla Yakuza, hanno ivi stabilito delle filiali per meglio gestire i propri affari transoceanici. Risaltano, a questo proposito, i casi curiosi della Triplice Frontiera, crocevia in cui si incontrano le strade di cartelli della droga e terrorismo internazionale, dell’Ecuador, curiosamente divenuto la seconda casa dei narcotrafficanti albanesi, e dei traffici della mafia israeliana da Città del Messico a Buenos Aires.
Il narco israeliano che parla(va) con la Yakuza
Questa storia inizia dalla fine, il 13 dicembre 2020. È la storia di un anziano israeliano, rispondente al nome di Gabriel Kenigsberger, che viene arrestato a Bogotá in un’operazione congiunta di forze dell’ordine e forze armate colombiane organizzata per dare esecuzione ad un mandato di cattura spiccato nei suoi confronti. L’uomo, infatti, era stato condannato di recente a ventisei anni di carcere per l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti.
La dimensione della pena è indicativa della caratura del personaggio. Kenigsberger, infatti, non è uno dei tanti narcotrafficanti stranieri stabilitisi in America Latina per meglio condurre gli affari. Egli era, e forse è ancora, l’uomo della mafia israeliana in Colombia: il punto di contatto i cartelli di Bogotá, in particolare “La Oficina”, e le famiglie criminali di Gerusalemme, e tra queste ultime è la potente Yakuza.
Per i suoi reati, spazianti dalla droga al riciclaggio di denaro illecito, il narco israeliano era ricercato in tutto il mondo dall’Interpol, ha all’attivo processi a suo carico nei Paesi Bassi e in Israele e pende sul suo capo una condanna a vent’anni di carcere emessa in Francia nel 1998. Ed è partire da uno dei tanti fascicoli aperti dalle autorità per indagare sulla rete e sulle attività, quello sulla pedofilia, che può essere raccontato il secondo capitolo della lunga e torbida storia di Kosher nostra in America Latina.
Sesso, il grande affare della mafia israeliana
Kenigsberger è attualmente indagato dalla giustizia colombiana per un crimine particolarmente viscido: il procacciamento di minorenni da costringere alla prostituzione per soddisfare le voglie e le fantasie di una clientela facoltosa composta esclusivamente da turisti sessuali provenienti da Israele e aventi come meta prediletta le coste colombiane e come obiettivo il sesso a pagamento, meglio se con adolescenti o poco meno.
Le indagini, ancora in corso, si basano sui presunti collegamenti tra il narcotrafficante e una delle più grandi case chiuse della capitale colombiana, Casa Iftach, gestito da alcuni prestanome che, secondo l’intelligence nazionale, sarebbero legati a personaggi della mafia israeliana come Assi Moosh, il re della prostituzione poi espulso dal Paese nel novembre 2017.
Altre volte, senza la necessità di prestanome, i mafiosi intestano a se stessi le attività, correndo tutti i rischi del caso, come ha fatto Nathan Ari, proprietario della “Casa de Ari”. Ciò che non cambia mai, da postribolo a postribolo, è l’utilizzo della droga: strumento con cui stordire le operatrici del sesso più indisposte e con il quale allietare l’esperienza dei ricchi clienti.
Innumerevoli e cospicui, ricorda la stampa colombiana, i sequestri di stupefacenti avvenuti negli anni recenti in prossimità o all’interno di case del sesso gestite dalla mafia israeliana e, altrettanto numerosi, gli arresti per riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione. Nel dicembre di tre anni or sono, ad esempio, un’indagine della polizia colombiana ha condotto all’arresto di sei cittadini israeliani, per sfruttamento e traffico di minorenni, e di un poliziotto per favoreggiamento. Le vittime, trattate come “schiave sessuali”, venivano letteralmente vendute all’interno di pacchetti turistici sui generis: vitto, alloggio e sesso.
L’impresa criminale, inoltre, era dedita ad omicidi, traffico di stupefacenti e riciclaggio dei proventi illeciti. Ad incastrarli, curiosamente, l’appartenenza comune di protettori e prostitute ad un gruppo WhatsApp ribattezzato “Purim“, la festività ebraica durante la quale si ripulisce l’anima a mezzo di un digiuno rituale in ricordo di Ester e Mardocheo.
Una scia di sangue dal Messico all’Argentina
Non è dato sapere quando la mafia israeliana abbia fatto approdo in America Latina, anche se si hanno notizie certe di legami tra le famiglie criminali israeliane e il cartello di Cali dalla fine degli anni ’90. Droga, turismo sessuale e riciclaggio di denaro sporco in attività commerciali o immobili, questi sono stati i pilastri tradizionalmente caratteristici di Kosher nostra nell’Ispanoamerica, anche se, negli ultimi tempi, qualcosa sembra essere cambiato, o meglio è avvenuto un salto di qualità: gli omicidi.
Negli anni passati è stata segnalata l’uccisione di criminali appartenenti o vicini alla mafia israeliana in Argentina, Brasile, Colombia, Panama e Perù, anche se l’evento sanguinoso che ha avuto maggiore risonanza mediatica è avvenuto in Messico. Il 24 luglio 2019, un sicario faceva ingresso in un ristorante affollato di Città del Messico per uccidere a colpi di pistola Alon Azulay e Benjamin Yeshurun Sutchi, due israeliani con precedenti penali e ritenuti vicini ai cartelli della droga del Paese.