I Paesi occidentali e dell’Europa ex comunista sono alle prese con una crisi demografica senza precedenti storici ed eguali nel mondo. Mentre in Paesi come Italia, Germania e Giappone lo spettro delle culle vuote sta manifestando più lentamente i suoi effetti perversi per via delle popolazioni elevate, ed altri come l’Ungheria hanno preso in mano il dossier sulla natalità ottenendo dei primi timidi risultati, nei Balcani la situazione è radicalmente diversa ed entro alcuni decenni, a meno di un’inversione di tendenza profonda e duratura, si potrebbe assistere a scenari distopici.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, la penisola balcanica è la regione geopolitica che sta sperimentando la recessione demografica più grave del pianeta, addirittura peggiore di quella che sta affliggendo l’Europa mediterranea. In Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Romania e Serbia, da oltre un ventennio la natalità è in costante diminuzione e ha raggiunto recentemente la soglia critica di nove nascite ogni mille abitanti. I cinque Paesi, insieme, hanno un tasso di fertilità medio di 1,4 figli per donna, ossia 0,7 punti in meno rispetto a quel 2,1 necessario a garantire il ricambio generazionale.
Questo inverno demografico, se non sarà fermato da agende politiche lungimiranti, non potrà che avere un solo sbocco: la riscrittura della composizione etnica dei Balcani per via della graduale scomparsa di interi popoli.
Il dramma bulgaro
La Bulgaria rappresenta il caso studio più interessante poiché la decrescita della popolazione è iniziata all’indomani del primo dopoguerra e non si è più arrestata, neanche negli anni del regime comunista. Censimenti ufficiali alla mano, infatti, è possibile tracciare una linea retta che, partendo dalle 40 nascite ogni 1000 abitanti del 1915, porta alle 9,1 registrate nel 2016. Il tasso di fertilità è al di sotto della soglia di sostituzione dal 1979, e l’emorragia demografica è stata accelerata nel post-guerra fredda dall’esodo biblico di quasi un milione di bulgari nel resto dell’Unione Europea.
Il paese si sta spopolando a tassi impressionanti: 60mila persone in meno ogni anno, ossia una media di 164 in meno al giorno. Da oggi a fine secolo, se la tendenza proseguisse, la popolazione potrebbe più che dimezzarsi, passando dagli attuali 7 milioni a 3 milioni.
Sono soprattutto giovani e persone in età da lavoro ad optare per il trasferimento all’estero, un fatto che spiega l’elevata età media della popolazione, saldamente fissa a 43 anni, le difficoltà del mercato del lavoro nel reperimento di manodopera ed il deterioramento dei conti pubblici, e che al tempo stesso è causa di un circolo vizioso che ostacola dal principio il successo di una qualsivoglia strategia pro-natalità.
Il paese è entrato in un vortice di spopolamento dal quale è difficile uscire, e la situazione è aggravata dalle crescenti tensioni sociali fra i bulgari etnici e i rom, che si apprestano a diventare la maggioranza entro tre decenni. Secondo il Centro per politiche demografiche (Cpd) di Sofia e l’Accademia bulgara delle scienze, la quota di rom sul totale della popolazione sarebbe largamente maggiore al 4,9% risultante dall’ultimo censimento, risalente al 2011, e si attesterebbe verosimilmente fra l’11% ed il 17%.
Tenendo in considerazione le percentuali alternative, le differenze nei tassi di mortalità e fertilità, e il tasso d’emigrazione, il Cpd ha elaborato una proiezione per il lungo termine in cui il 2050 viene indicato come l’anno del declassamento dei bulgari da prima a terza etnia, superati anche dai turchi, ed il 2100 come l’anno dell’estinzione virtuale della Bulgaria storica.
La Bosnia e gli altri
Il tasso di fertilità della Bosnia Erzegovina è il più basso della penisola balcanica, e l’undicesimo peggiore del mondo, e continua a ridursi a ritmi serrati: fra il 2016 ed il 2019 è sceso da 1,36 a 1,26. Anch’essa, proprio come la Bulgaria, non registra un tasso di fertilità superiore al 2,1 dalla fine degli anni ’70, e fra il 1991 ed il 2019 ha perso poco più di un milione di abitanti, passando da una popolazione di circa 4 milioni e 400mila ad una di 3 milioni e 300mila.
Le Nazioni Unite hanno stimato che entro il 2050 la popolazione dovrebbe diminuire di quasi il 30%, rimanendo di poco sopra i tre milioni di abitanti. Anche in questo caso l’emigrazione all’estero, soprattutto diretta in Germania, sta contribuendo ad accelerare lo spopolamento e i governi che si stanno susseguendo risultano incapaci di approntare piani di risollevamento demografico poiché costretti ad operare con bilanci pubblici sempre più ristretti e pressioni sociali ed economiche montanti.
Il sistema sanitario è uno dei settori che sta subendo maggiormente gli effetti dell’emorragia. Negli ultimi sei anni, più di 5mila infermieri hanno lasciato il paese per dirigersi a Berlino, privando il paese di un bacino di lavoratori estremamente prezioso. Nello stesso periodo, oltre 40mila bosniaci si sono diretti verso la vicina Slovenia, trovando impiego sostanzialmente nei settori edile e dei trasporti pesanti.
Con l’eccezione della Slovenia, ogni paese balcanico sta vivendo delle profonde crisi demografiche, a volte accompagnate da mutamenti etnici dagli inevitabili riflessi sociali, culturali e politici nel prossimo futuro, come nel caso bulgaro, ma anche serbo e rumeno. Infatti, anche questi ultimi due paesi, che stanno rispettivamente vivendo il quarto e il secondo spopolamento più grave della penisola, sembrano destinati a diventare a maggioranza rom stando alle proiezioni dei centri di ricerca nazionali.