I media internazionali, venerdì 20 agosto, attendevano il verdetto della magistratura ruandese nei confronti di Paul Rusesabagina, l’Oscar Schindler africano, da un anno in carcere a Kigali, e su cui pendono 13 capi d’accusa tra cui: terrorismo, finanziamento e fondazione di gruppi armati, omicidio e arruolamento di bambini nelle milizie ribelli. Dopo ore di attesa però la sentenza non è arrivata e attraverso un tweet la magistratura ruandese ha fatto sapere, senza dare spiegazioni, che occorrerà attendere il 20 settembre per sapere l’esito finale di una delle vicende legali e politiche africane più importanti e controverse degli ultimi anni.

Paul Rusesabagina, l’ex direttore dell’Hotel delle Mille Colline di Kigali, durante il genocidio ruandese nel 1994, riuscì a mettere in salvo 1268 tra uomini, donne e bambini tutsi dalla furia genocidaria delle milizie hutu e la sua storia ha ispirato il film Hotel Rwanda che l’ha portato alla ribalta delle cronache globali. Nel 1996 però Rusesabagina ha abbandonato il Paese africano e dal Belgio e dagli Stati Uniti ha dato inizio a una dura opposizione politica nei confronti del Presidente ruandese Kagame accusandolo di politiche discriminatorie nei confronti della popolazione hutu e di una deriva autoritaria del suo esecutivo.

Negli anni però, agli attacchi mossi da Rusesabagina nei confronti del nuovo governo ruandese, hanno iniziato a far seguito racconti e testimonianze che hanno macchiato la figura di colui che era considerato uno dei massimi esponenti della difesa dei diritti umani a livello planetario. Su quotidiani locali e poi internazionali sono emerse storie e confessioni che hanno messo in discussione la filantropia dell’uomo accusandolo di aver tratto profitto e speculato sulle vittime delle persecuzioni durante il genocidio.

Verità o diffamazione? Retroscena della storia o damnatio memoriae come ritorsione politica? Chiarezza non è mai stata fatta, la battaglia tra Rusesabagina e Kagame negli anni è proseguita ma lo scontro tra i due è arrivato a un epilogo inaspettato l’estate scorsa quando, in modalità ancora poco chiare, l’aereo su cui viaggiava l’ex gestore dell’Hotel delle Mille Colline, anziché atterrare in Burundi dov’era diretto, si è fermato in Ruanda e Rusesabagina è stato tradotto nel carcere della capitale.

I pubblici ministeri di Kigali hanno chiesto l’ergastolo per l’ex direttore dell’Hotel imputandogli di essere uno dei leader e dei finanziatori del Fronte di Liberazione Nazionale, un gruppo ribelle macchiatosi di attentati e omicidi in Ruanda tra il 2018 e il 2019. Rusesabagina ha sempre negato le accuse anche se, come già riportato da InsideOver, Rusesabagina è a tutti gli effetti un oppositore, è il leader di una coalizione di gruppi d’opposizione in esilio, il Movimento ruandese per il cambiamento democratico (Mrcd), e questa sigla si sospetta che abbia anche un’ala armata, il Fronte di liberazione nazionale (Fln) appunto. Inoltre, in un discorso a questi gruppi d’opposizione fatto tramite un video registrato nel 2018, Rusesabagina ha affermato che la politica in Ruanda ha fallito e ha aggiunto: “È giunto il momento in cui utilizziamo tutti i mezzi possibili per realizzare il cambiamento”. L’imputato ha sempre precisato che il suo non era un invito alla violenza ma alla lotta democratica e diplomatica smentendo qualsiasi accusa di avere legami con gruppi terroristici.

Parole a cui l’esecutivo ruandese non sembra aver dato ascolto dal momento che all’uomo, nonostante la pressione mediatica e l’intervento dei famigliari, è stata negata persino la possibilità di essere scarcerato sotto pagamento di una cauzione per motivi di salute. E nelle ultime ore è emerso un ulteriore particolare che rende sempre più caliginosa la vicenda, l‘espulsione dell’avvocato belga di Rusesabagina dal Ruanda. Secondo le autorità ruandesi, Vincent Lurquin è stato espulso e dichiarato persona non grata per aver violato le leggi sull’immigrazione.

La Rwanda Bar Association ha sollevato una denuncia perché Lurquin non era accreditato per esercitare in Ruanda. Il legale, sulle colonne di africanews, ha replicato dicendo di non essere stato in grado di vedere il suo cliente nell’ultimo anno e dichiarando: “Non ho visto il mio cliente, questo è il problema. Si rifiutano di farmi vedere il mio cliente, sono andato dal presidente dell’ordine, dal procuratore generale, dal ministro degli Esteri, dal ministro della Giustizia. Nessuno ha voluto ricevermi. In Belgio il ministro degli Esteri ha contattato il suo omologo ruandese, ma non abbiamo ricevuto risposta».

Diverse associazioni umanitarie, tra cui Human Rights Watch, si sono mobilitate affinchè venga fatta chiarezza sul processo ai danni di Paul Rusesabagina e venga dissipata la cortina di incongruenze e ombre che stanno ammantando l’iter giudiziario da oltre 12 mesi. Il famoso giornalista e scrittore americano Tom Zoellner, attraverso un editoriale sulle colonne del Washington Post, ha lanciato un appello all’amministrazione Biden affinché intervenga in una vicenda che ” va contro ogni principio umanitario”, ma, nonostante la mobilitazione internazionale, il processo a Paul Rusesabagina, sembra ogni giorno di più avere i connotati di una questione privata ruandese, uno scontro frontale tra il Presidente Kagame e uno dei suoi più noti e acerrimi oppositori.

Ad oggi non sembrano esserci possibilità di invertire la rotta di un processo il cui esito sembra già essere scritto e che verrà reso noto il 20 settembre alle ore 11, il giorno in cui, secondo Tom Zoellner, il mondo assisterà impassibile al pronunciamento di una sentenza di condanna al carcere a vita per l’uomo che, nel 1994, al di là di qualsiasi accusa, ha oggettivamente salvato la vita di 1268 persone da morte certa, mentre il mondo, oggi come allora, restava a guardare.

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