Con l’arrivo della seconda ondata della pandemia di coronavirus, l’Europa si è scoperta quanto mai impreparata a far fronte all’emergenza sanitaria, affrontando una situazione che si sta dimostrando potenzialmente più devastante di quella affrontata nella scorsa primavera. Nonostante l’esperienza passata e benché in questi mesi ci sia stato il tempo effettivo per dare forma ad un piano di prevenzione e di assistenza che ci avrebbe potuto mettere maggiormente al sicuro, la sensazione è quella che, ancora una volta, ci troveremo di fronte a dei mesi davvero difficili da superare.
A differenza della scorsa primavera, però, un dato appare decisamente rilevante: il rapporto assolutamente più contenuto tra il numero reale di contagiati rispetto alla mortalità; così come l’aumento vertiginoso giorno dopo giorno dell’indice Rt di contagio. Questo particolare, però, ha chiarificato quelle ipotesi che già all’inizio dell’anno erano state avanzate da molti virologi e da voci importanti della medicina riguardanti l’alta capacità del patogeno di trasferirsi da un individuo all’altro. E al tempo stesso, però, ha messo in evidenza come le stime iniziali riguardanti il rapporto tra positivi e decessi fossero state assolutamente sovrastimate.
A “pesare”, infatti e contrariamente a quanto accaduto nei mesi passati, è l’alto numero di persone asintomatiche o paucisintomatiche che sono state rilevate e che di fatto vengono comunque conteggiate come persone ammalate di coronavirus. Questi dati, però, la scorsa primavera erano perlopiù sommersi e restavano al di fuori sia del tracciamento del propagarsi della pandemia sia delle stime effettuate dai maggiori istituti di sanità non soltanto italiani ma anche esteri.
La situazione dunque è abbastanza chiara (ed era stata già anticipato lo scorso agosto): il Covid-19 in questi mesi ha aumentato in modo esponenziale la propria carica virale, ma la mortalità reale ed effettiva non è affatto cresciuta e potrebbe addirittura essersi ridotta. Certamente, però, le persone che sono maggiormente esposte alle complicazioni dettate dalla malattie – come coloro che hanno almeno due patologie pregresse e che potrebbero essere acutizzate dal patogeno – continuano ad affrontare difficoltà nel superare la fa se successiva all’incubazione del coronavirus. A questo punto, però, è giunto il momento anche di porsi alcune domande, molte delle quali relative al modo in cui è stato gestito il momento di “pausa” dei mesi estivi in cui, secondo alcuni, il virus poteva addirittura essere considerato “clinicamente morto”.
Secondo uno studio dell’Università Cattolica, inoltre, sarebbero almeno 5 milioni gli italiani entrati a contatto con il Covid-19. Il che dimostrerebbe due cose: i virus corre veloce, ma soprattutto “la letalità del virus potrebbe essere di molto inferiore a quella indicata ufficialmente. Si pensava fosse del 2,4% dei casi, le nostre stime invece indicano lo 0,6% ovvero 6 persone su mille”.
Mentre infatti la politica italiana è stata distratta dagli altri accadimenti che con la pandemia non si sono fermati – come le questioni migratorie, le elezioni politiche e gli scenari internazionali – e mentre la scienza si è concentrata sulla ricerca di cure e vaccini, le strutture non sono state adeguatamente potenziate. In uno scenario in cui il virus vede aumentata la propria carica virale ma non la percentuale di mortalità, infatti, l’aver avuto a disposizione una maggiore capienza ospedaliera e delle cellule sanitarie operative sul territorio avrebbe potuto fare la differenza tra lo scenario di lockdown e quello di “normale” convivenza con un virus pericoloso.
A questo punto, dunque, appare evidente come il non aver potenziato gli ospedali e non essersi concentrati adeguatamente nella formazione e nell’assunzione di personale medico ed infermieristico sia stato una grave debacle. In modo particolare, perché avrebbe permesso l’evitare di insorgere di complicanze che a questo punto potrebbero divenire discriminanti e potrebbero incidere anche in modo negativo sulla percentuale di mortalità.
Perché non possiamo nasconderci dietro ad un dito: la percentuale di morti rimane comunque più alta del naturale a causa della mancanza o della sotto-scorta di strutture idonee all’accoglienza, come si è verificato già nella scorsa primavera.
Per tutto questo, la colpa non è stata sicuramente né della movida e nemmeno dell’apertura estiva, bensì nella cecità di coloro che si sarebbero dovuti concentrare sul potenziamento delle strutture. E purtroppo, in questo modo, è stato perduto anche il tempo per porgere delle scuse.