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Con un numero totale di contagiati accertati prossimo ai 70mila e con una percentuale di mortalità superiore al 10% (sono infatti oltre 7mila le vittime secondo i dati Reuters), il Messico è il Paese dell’America centrale che è stato colpito maggiormente dal passaggio della pandemia di Covid-19. Con un sistema sanitario entrato in crisi di approvvigionamenti nei primi giorni in cui sono iniziati i contagi, gli ospedali non sono riusciti a farsi carico dell’ingente mole di lavoro, al punto che lo stesso presidente del Paese Andres Manuel Lopez Obrador – dapprima scettico sull’emergenza – ha deciso di applicare il lockdown al Paese. Pensato inizialmente per durare pochissime settimane, è stato in seguito esteso e allentato gradualmente soltanto negli ultimi giorni, cogliendo impreparate – date le premesse – le industrie del Paese già sofferenti per gli squilibri internazionali degli ultimi due anni. In questa situazione, oltre al profilo sanitario, il Messico rischia di subire delle gravi perdite anche sotto l’aspetto economico. Stando infatti sempre a quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, i nuovi disoccupati rischiano di superare il milione di unità.

La spirale della recessione

Aziende che rischiano di chiudere e famiglie con anche l’ultimo suo componente lavorativamente attivo ad aver perduto il proprio impiego: questa frase è stata sentita già troppe volte durante l’attuale crisi dovuta al coronavirus, un po’ per tutte le economie mondiali. In Messico, però, questa situazione rischia di essere ancora più devastante: soprattutto poiché in concomitanza con dei grandi cambiamenti nello scenario commerciale Nordamericano voluti dal presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump nel suo programma di riequilibrio dei trattati commerciali internazionali. E, come accaduto anche nel caso di altri partner commerciali di Washington, anche in questo caso le modifiche sono state sbilanciate in favore degli Stati Uniti, con il Messico obbligato a cedere su alcuni punti assai cari al politico repubblicano.

Le aziende operative sull’esportazione sono state già costrette a ridisegnare il proprio piano aziendale in relazione ai minori margini di guadagno dettati dalla ridiscussione del trattato commerciale del Nordamerica. In questo scenario, dunque, la crisi economica mondiale rischia di diventare una falce di Crono in grado di stabilire chi potrà sopravvivere e chi invece dovrà arrendersi, sfavorendo soprattutto i piccoli attori del mercato. E questa condizione avrà effetti devastanti anche sull’occupazione del Messico, in uno scenario in cui ci si attende la scomparsa di oltre un milione di posti di lavoro e il conseguente crollo al di sotto della fascia di povertà di altrettanti nuclei familiari messicani.

Amlo adesso rischia un terremoto

Salito al potere per portare una ventata di cambiamento e soprattutto con la promessa di risollevare il paese dell’America latina tramite la creazione di nuovi posti di lavoro ed incentivi all’economia, il Covid-19 ha impedito ogni sua possibilità d’azione che vada in una delle precedenti direzioni. Al contrario, la combinazione tra più fattori sfavorevoli rischia di generare proprio la situazione inversa, con un Messico che si vede allontanato dalla competitività internazionale ed è al contempo costretto a subire una contrazione del numero di impieghi nel Paese. E soprattutto nelle grandi città questa situazione rischia di avere dei risvolti drammatici, riflettendosi soprattutto sui consumi e di conseguenza sulla domanda interna che si sperava potesse tenere a galla l’economia del Paese nel secondo semestre del 2020.

In questa situazione è però lo stesso Presidente del Messico a giocarsi una partita assolutamente importante ed assai complicata per i prossimi anni: quella del consenso pubblico. Privato della possibilità di mantenere fede alle proprie promesse, Amlo dovrà essere in grado di ridisegnare il Paese e di prepararlo ai durissimi anni che si troverà davanti, in una battaglia che se fallimentare rischia di costare molto cara non soltanto al Messico ma anche alla sua stessa posizione politica.

Un “esercito” di disoccupati in marcia verso gli Stati Uniti?

Come già accaduto negli scorsi anni, un incremento della disoccupazione e della povertà media del Messico provoca due devastanti conseguenze: l’aumento della criminalità organizzata dei cartelli messicani e l’inizio di nuovi e ingenti flussi migratori verso il confine con gli Stati Uniti. E se per il caso delle bande il dato è diventato evidente già nelle dure settimane di serrata, per la seconda non bisogna comunque attendere troppo prima che le prime carovane di migranti prendano la strada degli States.

Nella precaria condizione sanitaria in cui versa l’intero globo e soprattutto gli Stati Uniti, però, questo nuovo assalto alla frontiera rischia di degenerare in tensioni tra le comunità di confine, riaccendendo dissapori che fino a questo momento e dall’elezione di Trump sembrano essersi almeno parzialmente calmati. Adesso, però, rischiano di ripresentarsi con tutta la loro potenza e la loro irruenza.

Inoltre, un flusso migratorio di notevoli dimensioni – unito a degli scarsi controlli sanitari e ad una pandemia in corso in grado di far scoppiare da un momento all’altro un nuovo focolaio – rischia di accrescere i problemi sanitari degli Stati Uniti, anche in regioni sino a questo momento sostanzialmente risparmiate rispetto alle grandi metropoli costiere. E in questa situazione, dunque, gli scenari che si aprono davanti sono molteplici e quasi tutti drammatici, sul quale si giocheranno non soltanto le vite stesse delle persone ma anche le campagne politiche per le prossime presidenziali di novembre tra Trump e Joe Biden.

Saranno i migranti i migliori alleati di Trump?

Stando alle ultime rilevazioni sulle intenzioni di voto degli americani pubblicate dall’agenzia di sondaggi YouGov, Biden sarebbe al momento davanti di circa 8 punti rispetto al presidente uscente Trump. Tuttavia – e come evidenziato dal passato – tali dati non sono comunque garanzia di successo per il candidato democratico, che ancora non ha la certezza di potersi sedere alla scrivania dello Studio ovale per il prossimo 2021. E mai come in situazioni come queste degli sconvolgimenti sociali, soprattutto se riguardanti flussi migratori in entrata, potrebbero diventare l’ago della bilancia in grado di muovere le intenzioni di voto degli elettori americani.

In fondo, con l’arrivo di migranti lungo le frontiere tra Messico e Stati Uniti Trump ha già recuperato con – quasi – qualsiasi mossa almeno una parte dei voti di scarto dal proprio concorrente. Con il loro respingimento recupererebbe quell’elettorato repubblicano sfiduciato dagli sconvolgimenti globali che hanno messo in crisi anche l’industria americana, mentre con parziali aperture potrebbe convincere quegli elettori democratici che mal sopportano la figura di Biden. E dalla combinazione tra i due fattori – a titolo di esempio, blocco degli ingressi a meno di legami familiari già presenti nel Paese – potrebbe ottenere il massimo da entrambi gli schieramenti, calando l’asso che gli regalerebbe altri quattro anni di presidenza. E sarebbe ironico se si considera come la quasi totalità della campagna elettorale del 2016 negli Stati del sud fosse stata giocata proprio contro il Messico ed i suoi flussi migratori, che questa volta potrebbero però rivelarsi i suoi più fedeli – e inaspettati – alleati.

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