Centinaia di persone, in decine di città cinesi, sono scese in strada per sfogare la loro frustrazione contro la Zero Covid Policy, la rigidissima politica sanitaria sposata dal Partito Comunista Cinese per fronteggiare la pandemia di Covid-19. I primi, rilevanti, disordini sono scoppiati tra il 25 e il 27 novembre.
All’inizio dell’autunno le infezioni giornaliere sono salite a numeri inimmaginabili per la Cina. La Commissione sanitaria nazionale, al 28 novembre, ha parlato di quasi 40mila contagi, anche se c’è da dire che 35mila di questi risultano asintomatici e poco meno di 4mila sintomatici. Numeri apparentemente trascurabili in un Paese di 1,4 miliardi di abitanti, ma non per il governo cinese.
In ogni caso, tutto questo si sta verificando nonostante la tolleranza zero delle autorità, gli estenuanti lockdown, le limitazioni quotidiane dei cittadini, il rallentamento dell’economia e l’aumento della disoccupazione giovanile, prossima al 20%. La pazienza, dopo quasi tre anni di sacrifici e la vana speranza di assistere ad un allentamento delle misure, è così giunta al limite. Ma, scendendo nei dettagli, che cosa sta succedendo in Cina? E che cosa accadrà nei prossimi giorni? Ecco tutto quello che c’è da sapere sulle proteste.
Perché sono scoppiate le proteste in Cina?
La goccia che ha fatto traboccare il vaso coincide con un incendio mortale che, il 24 novembre, ha interessato un condominio di Urumqi, nello Xinjiang, causando la morte di una decina di persone e il ferimento di altrettante.
Questo ha provocato un’ondata di sdegno online. Vari utenti hanno dubitato sul fatto che i soccorsi, e le persone che cercavano di scappare, potessero essere rimaste bloccate a causa delle politiche anti Covid. La città è infatti rimasta bloccata per oltre 100 giorni, sempre a causa della Zero Covid Policy, con i residenti impossibilitati a lasciare la regione e costretti a restare a casa.
I suddetti dubbi hanno scatenato la rabbia dei cittadini. Molti di loro, il giorno seguente l’incendio, hanno marciato verso un edificio governativo chiedendo la fine delle restrizioni. Il governo locale, pur dando rassicurazioni in merito, non ha alla fine fornito una chiara risposta. Le proteste sono quindi ripartire con più vigore, diffondendosi in gran parte della Cina.
Contro cosa protestano i cinesi?
Il cuore delle proteste, nonché la scintilla che ha incendiato gli animi, è da ricercare nella Zero Covid Policy. La maggior parte dei dimostranti chiede al governo di revocare le misure anti Covid. Altre persone, tuttavia, hanno protestato direttamente contro il Partito, chiedendo le dimissioni di Xi Jinping, promotore e difensore della tolleranza zero contro il virus.
Dove stanno scoppiando le proteste?
È difficile fornire un quadro completo della situazione, anche se si contano almeno una ventina di manifestazioni tenutesi in 15 città cinesi, tra cui la capitale Pechino e il centro finanziario Shanghai.
Qui, il 26 novembre, centinaia di persone si sono riunite per una veglia a lume di candela presso Urumqi Road per piangere le vittime dell’incendio di Urumqi. Alcuni, va sottolineato, hanno mostrato fogli bianchi, in una simbolica protesta contro la censura, intonando cori a favore della “libertà” e chiedendo le dimissioni di Xi.
Il 27 novembre le proteste si sono diffuse a Pechino, Chengdu, Guangzhou, Xian, Chongqin, Hangzhou e Wuhan, e pure all’interno dei campus, comprese le prestigiose istituzioni dell’Università di Pechino, dell’Università Tsinghua di Pechino e dell’Università di Comunicazione della Cina a Nachino.
Perché queste proteste sono significative?
In Cina la protesta pubblica, a maggior ragione espressamente rivolta contro il Partito, è estremamente rara. Come se non bastasse, è ancor più raro che simili manifestazioni di dissenso possano uscire dall’ambito locale e diffondersi a livello nazionale.
Prima della pandemia, le proteste che scoppiavano all’interno del Paese erano localizzate. Allo stesso tempo i dimostranti concentravano le loro rivendicazioni sui funzionari locali e su questioni socio-economiche molto mirate.
Un altro importante aspetto da menzionare è che le attuali proteste danno l’impressione di avere una natura trasversale. Coinvolgono cioè studenti, lavoratori e perfino una parte della classe media han, tradizionalmente leale e fedele nei confronti del governo.
Le proteste sono scoppiate all’improvviso?
Come detto, l’incendio di Urumqi ha dato il via alle proteste. Prima di allora si segnalavano tuttavia già sporadici focolai di malcontento.
A ottobre sono scoppiate isolate sacche di protesta, con slogan anti Covid, sui muri e bagni pubblici di varie città cinesi, sulla scia di uno striscione appeso da un manifestante solitario su un cavalcavia a Pechino, pochi giorni prima che Xi ottenesse il terzo mandato da segretario del Partito.
All’inizio di novembre, a Guangzhou, sono andate in scena proteste più ampie, con i residenti che hanno sfidato le norme scendendo in strada e abbattendo le barriere di sicurezza.
Qual è la risposta della autorità?
In gran parte della Cina le proteste sono terminate, pacificamente, durante il fine settimana. In alcune città le autorità hanno tuttavia dovuto utilizzare la forza. A Shanghai ci sono stati violenti tafferugli tra manifestanti e polizia, con tanto di arresti. Numerosi video di denuncia sono stati cancellati dalla rete. Le autorità della Cina hanno aperto un’inchiesta su alcuni dei partecipanti alle proteste.
La situazione è sotto controllo?
Al momento la situazione appare sotto controllo, ma il rischio di una possibile escalation è grande e da monitorare con attenzione. C’è chi ha paragonato le attuali proteste a quelle andate in scena a Pechino nel 1989 ma, ad oggi, ci troviamo di fronte a due scenari completamente diversi.