L’Europa ribolle in un autunno caldo che, rispetto ad altre fasi di grandi mobilitazioni collettive, non porta però con sé rivendicazioni ideologiche, culturali, sociali e valoriali di qualsivoglia natura, ma un fattore amalgamante al tempo stesso più basilare e inequivocabile: il timore per il futuro.

Il caso della Francia infiammata dalle proteste per il caro-energia e l’inflazione che sconvolge la prospettiva di vita di milioni di persone è solo il più ampio e più clamoroso di una serie di eventi di questo tipo. Magmatici, spesso apolitici nella genesi, uniti dal comune scetticismo verso le modalità di conduzione della crisi politica, economica ed energetica da parte della politica, sbrigativamente rubricati dai media in alcuni casi come “filorussi” perché concentrati sul dato interno più che sul ruolo di Mosca nella genesi della crisi energetica, questi movimenti sono una realtà in tutta Europa e hanno avuto un crisma sindacale e politico nelle mobilitazioni di Parigi.

Praga, il principio di tutto

La Repubblica Ceca ha segnato a inizio settembre l’inizio della mobilitazioni comunitarie. affrontando un autunno di malcontento dopo che 70.000 manifestanti si sono riuniti a Praga per protestare contro l’aumento delle bollette energetiche e chiedere la fine delle sanzioni contro la Russia per la guerra in Ucraina.

Elementi di estrema destra e di estrema sinistra si sono riuniti in una manifestazione emblematicamente intitolata “Prima la Repubblica Ceca” nella giornata di domenica 4 settembre per chiedere un nuovo accordo con Mosca sulle forniture di gas e la cessazione dell’invio di armi all’Ucraina, esortando il governo di centro-destra del primo ministro, Petr Fiala, a dimettersi.

La manifestazione in Piazza Venceslao – storicamente un luogo di dissenso di massa nella capitale ceca, già epicentro della “Rivoluzione cecoslovacca” del 1968 repressa nel sangue dalle truppe del Patto di Varsavia – ha significato la fine di un periodo relativamente placido per la politica interna da quando Fiala è entrato in carica lo scorso dicembre.

Fiala, leader del Partito Civico Democratico (Ods) ed ex professore di Scienze Politiche, ha liquidato la manifestazione come estremista e alimentata dalla propaganda russa. Alcuni manifestanti indossavano magliette che lodavano il presidente russo, Vladimir Putin, mentre altri portavano striscioni che esprimevano sentimenti anti-Ue e anti-Nato: la Repubblica Ceca è stata tra i più convinti sostenitori dell’Ucraina nell’alleanza occidentale, ma il consenso interno alla linea pro-Kiev del governo è stato apertamente fiaccato dalla crisi energetica e dal caro-vita.

Per il governo ceco è chiaro che la propaganda russa e le campagne di disinformazione siano presenti nel mondo politico ceco. Ma la realtà dei fatti parla di un’inflazione triplicata da giugno 2021 a oggi, passata da poco più del 4 al 14,7% di settembre e che secondo molti analisti potrebbe sfondare quota 20% a inizio 2023. E buona parte della folla partecipante alla prima manifestazione si è ripresentata nella capitale il 28 settembre per una seconda, massiccia ondata di proteste contro il governo.

Lubomir Kopecek, dell’Università Masaryk di Brno, ha dichiarato all’emittente statale CTK che le dimensioni della manifestazione illustrano “significativa insoddisfazione” per l’approccio del governo alla crisi energetica.

La manifestazione in piazza Venceslao a Praga del 28 settembre (Foto: EPA/MARTIN DIVISEK)

L’ondata di proteste in Germania

Come successo con le marce di protesta contro le restrizioni del Covid-19, l’ondata di proteste si è subito spostata da Praga ai Lander della Germania orientale. In un Paese sconvolto dalla crisi energetica e costretto a mobilitare centinaia di miliardi di euro per ovviare al rischio di una crisi sistemica, le regioni a reddito minore dell’Est, in cui sono maggioritarie o rilevanti formazioni come la destra di Alternative fur Deutschland e in cui si coltiva maggior scetticismo verso il decoupling dalla Russia, sono diventate inquiete.

Migliaia di persone si sono radunate in diversi stati della Germania orientale nella giornata di lunedì 26 settembre per protestare contro la politica energetica del governo e le sanzioni contro la Russia. I manifestanti hanno gridato slogan contro il governo di coalizione del cancelliere Olaf Scholz e hanno portato striscioni con i messaggi “Stop all’esplosione dei prezzi”, “Stop alla guerra, stop alle sanzioni” e “Aprire Nord Stream ora”, in un momento in cui ancora non era emersa la grave questione dell’incidente di Bornholm che ha bloccato il gasdotto baltico.

Durante le proteste nel Meclemburgo-Pomerania più di 11.000 persone hanno manifestato in circa venti località, come riportato dall’emittente pubblica Ndr. Almeno altrettante quelle radunatesi in Sassonia-Anhalt.

“Da Magdeburgo a Francoforte sull’Oder, da Lipsia a Dresda, da Cottbus a Gera, da Wismar a Lubmin dove arrivano i tubi dei danneggiati gasdotti del Nord Stream, sono ormai decine di migliaia le persone scese per strada a protestare”, ha riassunto StartMag. “Una lunga catena di malessere che idealmente si connette con le manifestazioni di Praga (che si sono ripetute), con i sondaggi in Slovacchia che segnalano la maggioranza dei cittadini contraria all’austerity energetica per sostenere l’Ucraina e con l’opposizione della classe dirigente ungherese a ogni tipo di sanzione verso Mosca”. E di fronte al rischio di una crisi sociale e d’impresa il governo di Berlino ha posto in essere le poderose misure anti-crisi che hanno suscitato critiche nel resto d’Europa.

Dimostrazione per le vie di Berlino del 22 ottobre (Foto Michael Kuenne/PRESSCOV/Sipa USA)

Francia, la prima saldatura del blocco sociale

A preoccupare poi è la grande “serrata” francese nel campo dell’energia e della raffinazione, aumentata in intensità fino allo sciopero generale convocato dalla Confederation Generale du Travail (Cgt), il maggiore sindacato francese, il 18 ottobre. L’obiettivo? Trasformare la vertenza sindacale nata per l’adeguamento dei contratti dei lavoratori nelle raffinerie Total e Exxon all’inflazione in una questione nazionale.

Emmanuel Macron e il suo governo affrontano la possibilità che l’azione sindacale si diffonda ad altri settori. Da quando a quattro lavoratori in sciopero della raffineria ExxonMobil di Notre-Dame-de-Gravenchon (nel nord della Francia) è stato ordinato di tornare al lavoro mercoledì 12 ottobre, i segnali sono apparsi in tutta la Francia, dove la carenza di carburante sta diventando una realtà. “Questo sciopero deve diffondersi”, ha detto Emmanuel Lépine, segretario generale della sezione delle industrie chimiche della Cgt.

Quattro sindacati – CGT, Force Ouvrière (FO), FSU e Solidaires – e quattro organizzazioni giovanili – FIDL, MNL, UNEF e La Voix Lycéenne – hanno indetto uno sciopero generale martedì per chiedere “salari più alti e difendere il diritto di sciopero. Hanno scioperato in massa i lavoratori dei trasporti e i dipendenti pubblici. In particolare, la SNCF (l’operatore della rete ferroviaria francese) e la rete di trasporto pubblico di Parigi hanno subito disagi. Gli scioperi hanno colpito quasi un terzo dei reattori nucleari francesi, ha detto un funzionario del sindacato dell’energia a Reuters, ritardando la manutenzione di molti di essi proprio mentre EDF sta spingendo per rimettere in funzione parte del suo parco di centrali in tempo per l’inverno.

Giovedì 13 ottobre gli ordini di ritorno al lavoro sono stati dati presso il deposito petrolifero di TotalEnergies vicino a Dunkerque, nella Francia settentrionale. Lo stesso giorno gli scioperanti di una delle due raffinerie Esso-ExxonMobil, a Fos-sur-Mer (Francia meridionale) hanno votato per togliere il blocco.

Venerdì 14 ottobre il rappresentante sindacale dell’unione moderata CFDT coinvolto nei colloqui salariali a TotalEnergies ha annunciato che un compromesso era stato raggiunto durante la notte, ma non ancora firmato, per un aumento salariale del 7%. Ma la Cgt ha promosso una mobilitazione massiccia forte della capacità di compattare il blocco sociale dei dipendenti dei settori strategici e del pubblico e di unire l’inquietudine per il carovita alla volontà di porsi in forze contro le future mosse di Macron su riforme del lavoro, welfare e pensioni.

Nel frattempo la popolarità del Presidente è a picco. Sei mesi dopo la sua elezione, l’iniquilino dell’Eliseo ha perso tre punti in un mese, secondo un sondaggio Ifop. A lungo tra il 38 e il 40%, il suo punteggio di supporto ora scende al 35%. È la prima volta che il Presidente della Repubblica registra un calo del genere dal febbraio 2020. Era allora al 32%, prima di salire grazie alla sua gestione del Covid. Ma d’ora in poi, il modo in cui affronta le grandi crisi non sembra più convincere l’opinione pubblica. E lo sciopero massiccio del 18 ottobre potrebbe già ripetersi presto prima della fine dell’autunno.

La Francia è il laboratorio per una maggiore strutturazione dell’autunno caldo europeo in una rivendicazione politica più ampia. E non a caso le proteste sono il terreno di scontro tra Macron da un lato e la Sinistra di Jean-Luc Mélenchon dall’altro. Con Marine Le Pen e il Rassemblement National osservatori interessati. Chi deve osservare interessata l’autunno caldo europeo, e la Francia in particolare, è l’Italia. Dove tra caro-energia, tensioni sociali e venti recessivi l’onda della crisi può abbattersi come una marea in caso di shock economico nel prossimo inverno. E dove può arrivare la prossima tappa di un autunno iniziato precocemente a Praga e diffusosi in tutto il Vecchio Continente.

Lo sciopero del 18 ottobre in Francia (Foto: EPA/CHRISTOPHE PETIT TESSON)

Moldavia e Serbia, caos alle periferie

Anche Moldavia e Serbia, ai confini dell’Unione Europea, sono state attraversate da proteste sistemiche. Carovita e inflazione, anche qui, l’innesco. Diverse migliaia di persone hanno protestato nella capitale della Moldavia domenica 18 e 25 settembre per chiedere le dimissioni del governo filo-occidentale del paese tra la crescente rabbia per la spirale dei prezzi del gas naturale e dell’inflazione.

La piccola nazione dell’Europa orientale, stretta tra Ucraina e Romania, ha visto aumentare le tensioni politiche negli ultimi mesi mentre i prezzi del gas salgono in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.

Un giornalista della Reuters ha stimato la folla radunatasi nelle due domeniche fuori dalla residenza ufficiale del presidente Maia Sandu a circa 5mila persone. I manifestanti hanno cantato “Abbasso Maia Sandu” e “Abbasso il governo”. Le manifestazioni sono state le più grandi da quando Sandu ha vinto le presidenziali nel 2020 partendo da una piattaforma anti-corruzione, ma non rappresentano una minaccia immediata per il presidente e la sua amministrazione. Venerdì 23 settembre, il regolatore del gas della Moldavia ha aumentato i prezzi del 27% per le famiglie, già vessate dal combinato disposto tra crisi energetica e inflazione galoppante.

Per un leader anti-russo che è in sofferenza, un presidente amico di Mosca è in parallela difficoltà. Aleksandr Vucic, presidente serbo, sta subendo da tempo l’aumento delle manifestazioni della Sinistra contro le risposte alla crisi economica.

Agenti in assetto anti sommossa per le vie di Chisinau in Moldavia (Foto: EPA/DUMITRU DORU)

Partiti politici tra cui il Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (Nkpj) e il Partito della Sinistra Radicale (Prl), nonché sindacati come la confederazione “Sloga” hanno espresso insoddisfazione per la decisione del governo di fissare il salario minimo per il 2023 a 230 dinari serbi (1,96 dollari) all’ora e 40.020 dinari serbi (341,59 dollari) al mese. Oggi il livello è 35mila dinari (poco meno di 300 dollari). La crescita supererebbe il tasso di inflazione pari al 13%, ma non è stato ritenuto sufficiente.

Nella sua dichiarazione del 14 settembre, l’Nkpj ha chiesto al governo di aumentare i salari minimi a 50.000 dinari serbi (426,77 dollari) al mese per far fronte al costo della vita. Željko Veselinović, presidente dei sindacati uniti della Serbia “Sloga”, ha affermato che “il salario minimo nel paese è deciso esclusivamente dal presidente e rimarrà tale fino a quando non verrà lanciato uno sciopero generale”. Ha anche chiesto la “cooperazione di tutti i centri sindacali competenti nel paese”. Da un mese il governo è in trattativa serrata per evitare lo sciopero generale che contribuirebbe a una serrata generale dell’economia.

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