La dottoressa Alash’le Grace Abimiku è forse la virologa più importante che opera nel contesto africano. Direttrice esecutiva di un istituto di virologia in Nigeria, l’Institue of Human virology, la Abimiku, che collabora anche con l’Università del Maryland, è nota pure per le sue ricerche sul virus dell’Hiv. La pandemia da Sars-Cov2 preoccupa l’Africa per almeno due ragioni: l’incidenza su territori continentali dove un contrasto vero e proprio alla diffusione dei contagi sembra molto difficile e la possibilità che il nuovo coronavirus possa viaggiare verso e dall’Africa. L’Europa, insomma, è coinvolta indirettamente. Così come l’Africa può essere interessata dai viaggi degli europei. Se le difficoltà gestionali sono evidenti, i flussi migratori devono essere gestiti anche in quel continente. Il caldo di settembre, poi, potrebbe aggravare la situazione.

Qual è la situazione in Nigeria ad oggi?

Ad oggi, il numero ufficiale delle persone infette è 42.689, con 878 morti e 19.270 guariti. L’epicentro continua ad essere Lagos con oltre 15.000 casi confermati. Poi ci sono altri Stati ed altre zone con numeri elevati, come la capitale Abuja, Oyo, Edo e Rivers. Esistono numerosi laboratori. Fino ad ora sono stati testati solo circa 300.000 campioni e, anche se il governo, attraverso i Centri nigeriani per il controllo delle malattie (NCDC), ha aumentato i laboratori peri test dai 5 di febbraio ai 59 di oggi, persistono mancanza di kit e forniture.

Avete problemi con i test?

I test sono ancora inadeguati per un paese di 200 milioni di persone, al netto dell’intensità della malattia, e sono ovviamente necessari più kit di prova. Il paese vive un lockdown rilassato: ci si aspetta che tutti indossino la mascherina, ma la prescrizione non viene applicata. Ci si aspetta, inoltre, che gli individui pratichino l’allontanamento sociale con un massimo di 50 persone ammesse in ogni riunione, mentre tutti devono esercitarsi con l’uso di maschere per il viso, con il lavaggio delle mani e con l’uso di disinfettanti. Esiste un certo numero di fabbriche che fornisce maschere e disinfettanti nel paese. Il governo ha istituito comitati per esaminare le richieste di cure e sta incoraggiando la ricerca di cure e vaccini. C’è ancora bisogno di maggiore educazione e consapevolezza nelle aree rurali in cui le persone svolgono le loro attività quotidiane senza indossare mascherine, praticare l’allontanamento sociale o il normale lavaggio delle mani.

In Italia c’è preoccupazione per i casi di importazione. Esiste un legame tra flussi migratori e le infezioni?

È interessante notare che il primo caso confermato in Nigeria è stato annunciato il 27 febbraio 2020, quando un cittadino italiano a Lagos è risultato positivo al virus. Da allora, i numeri sono aumentati drasticamente, nonostante i test e la segnalazione dei casi siano limitati. Senza dubbio c’è ancora importazione a causa dei confini porosi, ma la maggior parte della diffusione ora sta avvenendo all’interno delle comunità.

Quali contromisure dovrebbero essere prese per impedire ai flussi migratori di riavviare l’infezione?

La Nigeria ha chiuso rapidamente i suoi aeroporti. I voli adesso sono molto limitati, in specie per via del rapporto sui casi importati di Covid-19 dagli italiani e da molti nigeriani di ritorno dall’estero. Ai nigeriani di ritorno viene chiesto di mettersi in quarantena per 14 giorni per limitare la diffusione ai familiari ed alle loro comunità. Tuttavia, i confini che controllano l’accesso stradale sono porosi e adesso dovranno essere monitorati meglio per limitare la diffusione e le reinfezioni. Quando gli aeroporti apriranno (probabilmente in agosto), i passeggeri dovranno essere sottoposti a screening e, probabilmente, a quarantena autonoma, come avviene in altri paesi.

Riuscite a contenere i focolai africani?

I governi africani ed il settore privato stanno compiendo uno sforzo significativo per contenere i focolai, ma le sfide sono schiaccianti, nel senso che la maggior parte dei paesi africani dispone di infrastrutture limitate per far fronte ai casi. Inoltre, non possono praticare misure preventive a causa della mancanza di elementi essenziali come l’elettricità per preservare il fresco, combattendo il calore, o conservare cibi freschi. In più manca Internet.

Esistono persone, come nel caso del Bangladesh, che cercano di andarsene perché non sembrerebbero essere sottoposte alle giuste cure?

Sì, mentre un certo numero di nigeriani (che possono permetterselo) e altri cittadini stranieri sono partiti per cure migliori altrove, un numero piuttosto elevato di nigeriani è anche tornato a casa dall’estero. Questi nigeriani sono tornati perché discriminati dall’estero o perché non hanno un’assicurazione sanitaria, o ancora perché preferiscono essere curati in Nigeria, dove possono trovare facilmente erbe e rimedi locali.

Quali notizie dal fronte della ricerca?

Il governo ha fornito alcuni fondi limitati per la ricerca, ma ciò non è abbastanza per sostenere gli istituti di ricerca, quindi quelli come il nostro hanno continuato a competere per finanziamenti per fare le loro ricerche sul Covid-19 concentrandosi su diagnostica, trattamento e misure preventive.

C’è preoccupazione per una seconda ondata a settembre?

Sì, c’è preoccupazione per l’esacerbazione della situazione attuale: il tempo cambia nell’ultima parte dell’anno. Nell’Africa settentrionale, c’è la polvere secca del deserto sahariano che soffia con polvere fine. Ci sarà dunque un aumento delle malattie respiratorie, mentre nella parte meridionale dell’Africa il clima si fa più caldo e indossare le maschere diventa più complicato.