C’è un valico lungo 1758 chilometri che delinea il confine tra il Nepal e l’India. Ogni anno migliaia di ragazze nepalesi attraversano i territori dell’Himalaya e della Pianura indo-gangetica per dirigersi in India (da Kathmandu a Delhi). Spingendosi fino a Calcutta, Mumbai, Pune, Malesia, Arabia Saudita, Libano e Kuwait. Giovani donne fuggono dalla miseria dei loro villaggi in cerca di fortuna: si stima che in un anno siano 10-15mila le ragazze vendute a scopo sessuale (numeri statistici in forte incremento dopo il sisma del 2015 che ha colpito il Nepal causando ingenti danni e provocando oltre 8mila vittime accertate).
L’innocenza rubata
Le ragazze provengono perlopiù da famiglie molto povere e prive di ogni mezzo di sostentamento. È dunque facile per parenti, amici e conoscenti malintenzionati riuscire a persuaderle con la falsa promessa di un futuro migliore oppure di un lavoro ben retribuito. Giovani donne e ragazze vengono cedute come merce di scambio e reclutate nei bordelli dove sono costrette a prostituirsi con la violenza e la minaccia di non rivedere più le loro famiglie o nella peggiore delle ipotesi di essere uccise.
Le associazioni benefiche (sorte a sostegno delle vittime sessuali) cercano in ogni modo e con qualunque strumento a loro disposizione di informare a scopo preventivo sia le ragazze che i loro familiari sui rischi legati alle lusinghe altrui (di chi con apparente disinteresse agisce al solo fine di conquistarne la fiducia).
Sopravvissute
L’infanzia di Manisa (21 anni) scorre felice: nonostante l’abbandono da parte del padre, la madre lavora sodo per non farle mancare nulla. Ha 14 anni quando tre sue compagne di scuola le offrono del cibo da mangiare: stordita si ritrova nel bosco, mentre uno sconosciuto tenta di rapirla. Fortunatamente viene salvata da alcuni lavoratori che, sentendola urlare, la soccorrono (le amiche l‘avevano venduta per 42 dollari). Dopo l’accaduto – all’interno del suo villaggio – Manisa non gode più della reputazione di “brava ragazza”: decide quindi di trasferirsi a Kathmandu e nel frattempo studia per diventare un’attrice di teatro.
Charimaya [Tamang] è intenta a tagliare l’erba vicino a casa sua il giorno in cui viene rapita da quattro uomini (si risveglierà su di un treno diretto a Kamathipura – Mumbai). Nel bordello in cui è costretta a prostituirsi, tenta il suicidio a cui sopravvive: ci vorranno mesi prima che venga liberata nel corso di un’ispezione all’interno del distretto a luci rosse nel quale lavora. In compagnia di altre ragazze superstiti (provenienti dalla sua stessa area rurale) attende di essere rimpatriata ma il Governo nepalese oppone resistenza: fa ritorno a casa grazie ad un benefattore che si offre di acquistare i biglietti aerei per tutte le ragazze. Sullo sfondo del pregiudizio sociale, Charimaya è ritenuta responsabile della sua stessa sventura: lei però non si perde d’animo e coraggiosamente costituisce un gruppo che chiama “Shakti Samuha” (letteralmente: “Potere del Gruppo”).
Contro il traffico delle donne
Shakti Samuha è la prima organizzazione non profit al mondo in difesa delle vittime del traffico umano. Inizialmente conta solo 15 donne – tutte sopravvissute: attualmente sono in 135. L’organizzazione si occupa di salvare e reintegrare le vittime sessuali, fornendo loro supporto legale. Insieme hanno già vinto molti premi umanitari, ma la loro vera sfida è riuscire a debellare la piaga della schiavitù sessuale nel mondo.
L’attivista sociale Anuradha Koirala opera per sostenere le donne nepalesi nella lotta contro il traffico sessuale. Nel 1993 (con il preciso intento di prevenire la tratta umana) fonda Maiti Nepal: un’organizzazione senza scopo di lucro che tutela le donne dallo sfruttamento sessuale e promuove il loro reinserimento sociale. Sono 18mila le consulenze legali finora prestate e 350 il totale dei processi di stupro celebrati. Più di 42mila il numero delle ragazze sottratte al traffico umano.
Tra il Nepal e l’India
Le ragazze (pur viaggiando munite di passaporto falso) riescono ad eludere i controlli doganali con la complicità di agenti di polizia compiacenti. Dietro la manipolazione e la corruzione dei funzionari aeroportuali indiani si nascondono le bande criminali che gestiscono il traffico umano.
Bus giornalieri partono da Kathmandu (capitale del Nepal) per l’India: il viaggio costa poche decine di dollari e dura più o meno 12 ore. La viabilità passa anche per Nepalganj – città confinante con l’India – al centro dei crimini di contrabbando e droga, ma soprattutto connessa ai reati di tratta umana e sfruttamento sessuale.
Benché distesi, i rapporti attuali tra il Nepal e l’India sono meno cordiali di un tempo: occorre ridisegnare i confini territoriali e politici contesi. Serve una legge ad hoc per contrastare il traffico sessuale che coinvolge i due Paesi. Tra il 2011 e il 2019 in Nepal sono stati rilasciati 6.2milioni di passaporti (in media più di 600mila all’anno): di cui circa 2mila a cittadini di età compresa tra i 14 e i 18 anni. Il Nepal pertanto ha richiesto che nessun cittadino nepalese lasci il Paese senza un visto valido da esibire ai funzionari di frontiera.
Alla base del traffico umano si pone il problema dell’immigrazione (da imputare principalmente ad un alto tasso di disoccupazione che si presta al malaffare). C’è una nuova presa di coscienza oggi in Nepal riguardo il tema della violenza sulle donne: volontari ed associazioni hanno avviato una vasta campagna di sensibilizzazione che coinvolge l’intera popolazione contro ogni sorta di stereotipo di genere.