Quando eravamo nel bel mezzo della prima ondata di coronavirus, Neil Ferguson, rinomato epidemiologo dell’Imperial College di Londra, pubblicava uno studio in cui affermava che sì, per frenare la diffusione del Covid, era necessario ricorrere all’extrema ratio della quarantena. Attenzione però, perché Ferguson non faceva certo riferimento al rigido lockdown messo in atto dall’Italia o da altri Paesi, con i cittadini costretti a restare in casa per mesi in attesa che i contagi diminuissero.
L’originale idea promossa dallo studioso britannico coincideva con una sorta di quarantena a yo-yo. Scendendo nel dettaglio, la ricerca condotta da Ferguson e colleghi ipotizza uno scenario di isolamento totale della popolazione di un dato Paese. Questo lockdown deve tuttavia avere due caratteristiche particolari: essere esteso nel tempo e abbracciare un andamento altalenante.
Considerando che lo studio è uscito a marzo, in pieno “primo lockdown”, all’epoca Ferguson proponeva di proseguire con l’isolamento collettivo fino a luglio, quindi di interromperlo per un mese per poi riprenderlo per altri 60 giorni. E ancora: interrompere per un mese e ripartire con un nuovo lockdown per due. E così via fino alla fine del 2021.
Un lockdown particolare
A che serve una quarantena del genere? Un lockdown simile ha tre obiettivi: danneggiare la pandemia, fino a portarla all’estinzione nel lungo periodo, evitare il collasso del sistema economico di un Paese e salvaguardare la tenuta psicologica della popolazione. In teoria, una volta terminata la quarantena a yo-yo, ci penserebbe il vaccino a debellare definitivamente il Sars-CoV-2 e archiviare ogni quarantena.
Quando ci troviamo al cospetto di virus altamente contagiosi e per i quali non esiste un antidoto, la quarantena è uno dei modi più efficaci per stroncare la circolazione dell’agente patogeno tra le persone. Il problema è che una società umana è molto più complessa di quanto non si possa immaginare, ed è impensabile per qualsiasi governo affidarsi solo e soltanto ai consigli della scienza.
Altrimenti sarebbe facilissimo sconfiggere il virus: basterebbe decretare una chiusura rigorosa per 18 mesi e, con ogni probabilità, il coronavirus svanirebbe. Come detto è impossibile anche solo pensare di bloccare una nazione per un periodo così lungo e costringere le persone a stare in quarantena per mesi interi. Ecco allora che è maturata l’idea di pensare a chiusure intermittenti, da attuare quando i principali indicatori (esempio: i ricoveri in terapia intensiva) dovessero superare i livelli di guardia.
La strategia della “pentola a pressione”
Qualcosa del genere è stato proposto in Francia da Jean-Francois Delfraissy, presidente del comitato tecnico-scientifico Covid-19 transalpino. Se i francesi devono abituarsi a convivere con il virus fino almeno alla prossima estate, le autorità devono fare di tutto per evitare nuovi lockdown locali. Al momento la chiusura nazionale è stata esclusa categoricamente.
“Ma se un confinamento locale si rendesse necessario, lo faremo”, ha spiegato Delfraissy. Va da sé che in questo caso le chiusure scatterebbero nelle zone più critiche, come Parigi o Marsiglia. L’esperto ha spiegato il piano del governo francese usando la metafora della pentola a pressione: “Si lascia soffiare un po’, si lascia uscire il vapore, poi si richiude, per due o tre settimane, con nuove restrizioni. Provvedimenti transitori che limitano la circolazione del virus, poi si riapre e si richiude in un’altra zona”. Basterà affidarsi a una strategia simile per scongiurare danni economici e al tempo stesso garantire la sicurezza sanitaria dei cittadini?
Sulla falsa riga della “pentola a pressione” troviamo anche il suggerimento lanciato recentemente da due premi nobel per l’economia, Esther Duflo e Anhijit Banerjee. Per salvare il Natale dalla possibile recrudescenza della pandemia di Covid, è stato proposto un lockdown programmato di venti giorni, orientativamente da attuare nel periodo compreso dal primo al 20 dicembre.