Huawei rilancia, in piena emergenza coronavirus, la sua presenza sul territorio italiano, già fortemente radicata, e lo fa sulla scia del nuovo partenariato italo-cinese legato alla comune risposta all’emergenza sanitaria. Risposta che vede ora Pechino assistere Roma ma, al tempo stesso, guardare in prospettiva. Al consolidamento strategico dei suoi assetti nel Belpaese.
Luigi De Vecchis, presidente di Huawei Italia, in una recente intervista a DigitEconomy ha espresso la strategia del gruppo di Shenzen per il nostro Paese in risposta all’emergenza sanitaria in atto: “Stiamo mettendo in campo una serie di iniziative, dalla donazione di apparati di protezione, come tute per il personale medico, a una soluzione di comunicazione in cloud che, assieme ai nostri partner, permetterà ad alcune strutture ospedaliere di regioni diverse di comunicare con le unità di crisi in tempo reale, scambiandosi informazioni, dati e collaborando nell’emergenza”. L’obiettivo di fondo è replicare l’uso massiccio delle nuove tecnologie, dai big data all’intelligenza artificiale, che in Cina è risultato decisivo per contenere e affrontare l’emergenza epidemica.
De Vecchis, che nell’intervista rimbotta il Copasir per le critiche nei confronti della presenza di Huawei nelle reti di telecomunicazione e nella partita del 5G, esprime una strategia di ampio respiro del gruppo di Shenzen che potrebbe applicarsi nel contesto della risposta all’emergenza. Lo sfruttamento delle nuove tecnologie per capire l’evoluzione clinica dei pazienti, prevedere trend e ottenere dati sulle capacità di gestione degli ospedali è una delle nuove frontiere della rivoluzione tecnologica in atto. Di cui bisogna, tuttavia, valutare con cautela ogni implicazione relativa alla privacy dei soggetti, alla trasparenza della gestione dei dati e all’impatto economico-occupazionale.
Di recente ha fatto notizia l’accordo stipulato tra una delle maggiori concorrenti statunitensi di Huawei, Ibm, e il Bambino Gesù di Roma, il più grande ospedale e centro di ricerca pediatrica d’Europa, che hanno deciso di mettere a fattor comune conoscenze mediche di assoluta qualità e tecnologie all’avanguardia per accelerare la diagnosi e il trattamento dei pazienti pediatrici affetti da patologie gravi. Huawei vuole andare oltre e mettere in rete i dati sanitari degli italiani partendo dalla reazione al Covid-19. Un’operazione più volte negata al sistema Watson della stessa Ibm.
De Vecchis ha difeso il “modello Wuhan”, includendo in esso anche lo sfruttamento massiccio delle tecnologie di frontiera per la diagnosi, la cura e la prevenzione. Ma che implicazioni ha una mossa di Huawei, qui ed ora, sul territorio nazionale? Il politologo statunitense Ian Bremmer, in un’intervista a Formiche aveva segnalato che una più pervasiva presenza di Huawei nei sistemi italiani sarebbe stato, per Roma, il prezzo da pagare per gli aiuti odierni da Pechino. “Questa operazione di sensibilizzazione, che secondo i cinesi prevede l’arrivo di due milioni di mascherine, renderà l’Europa molto più dipendente dalla Cina, e più propensa a resistere agli Stati Uniti su questioni come la concessione del 5G a Huawei”, ha dichiarato Bremmer. A dire la verità, l’Europa sul 5G si è già dotata di metodologie di controllo autonome e, in certi casi (golden power italiano, cyber security britannica) più sistematizzate di quelle in uso negli Stati Uniti per controllare eventuali forme malevole di intrusione straniera nelle reti strategiche e nelle telecomunicazioni nazionali.
Tuttavia, Bremer non ha torto nel sottolineare che per la Cina ogni manovra, anche apparentemente frutto di generosità, ha un risvolto politico. Così è nel mondo della competizione globale. L’iniziativa di Huawei si inserisce nel contesto di un rinnovato sentimento di amicizia italo-cinese, ma il governo dovrebbe pensarci seriamente prima di accettarla senza aver considerato i giusti contrappesi in termini politici e securitari. Indipendentemente dal proponente, Huawei o Ibm, avrebbe senso esternalizzare a una compagnia straniera il compito di gestire la comunicazione tra i centri nevralgici del sistema sanitario? Iniziando per di più l’opera in epoca di emergenza? Che spazio sarebbe sottratto a eventuali operatori nazionali? Sono questi i quesiti che governo e regolatori dovranno porsi. Finita l’emergenza coronavirus, la sfida a tutto campo Cina-Usa potrebbe riprendere con grande intensità. E l’Italia dovrà giocare con grande attenzione per evitare di finire schiacciata tra le logiche eccessivamente stringenti della “scelta di campo” occidentale e il salto nel buio di un abbraccio incondizionato a Pechino su ogni proposta.