All’ordine del giorno dell’ultimo consiglio dell’Opec+ c’era la possibilità – o meglio, necessità – che i più grandi produttori mondiali di petrolio tagliassero le produzioni, in risposta al calo della domanda che ha causato una contrazione del prezzo del greggio. Tale proposta, spinta soprattutto dal blocco del golfo arabo, ha però riscontrato la dura opposizione della Russia di Vladimir Putin, che si è opposta al taglio della produzione.

Il gioco della Russia contro il Golfo

La posizione tenuta dalla Russia è dovuta alla sua sostanziale possibilità di attenuare le perdite dovute ad un taglio del prezzo del petrolio, avendo dalla sua parte una produzione molto variegata. Non fondando la quasi totalità della propria economia sulla produzione del greggio – a differenza dei Paesi dell’Arabia – il colpo inferto alla propria economia sarà meno pesante rispetto a quello subito dai principali avversari internazionali.

Mantenendo questa linea, i Paesi del Golfo rischiano invece un drastico calo delle proprie entrate – non potendosi permettere un netto taglio delle produzioni in assenza di accordi con la Russia – e di vedere danneggiata la propria economia. Con i dati macroeconomici per il 2020 che non lasciano tanti dubbi, i danni che saranno subiti da Arabia Saudita e Paesi vicini rischiano di essere gravi e difficili da assorbire anche potenziando gli altri comparti.

La Russia vuole rafforzare la propria posizione

Mettendo pressione sui propri avversari, la Russia è posta nella condizione di decidere la linea d’azione di questo inizio di decennio segnato dall’incertezza, di fatto esautorando i grandi produttori internazionali dal ruolo di comando. In questo scenario, infatti, l’opposizione della Russia impedisce di fatto ai contendenti di contrarre le proprie produzioni, in quanto rischierebbero di perdere importanti fette di mercato a favore di Mosca. E questa possibilità rischierebbe di essere ancora peggiore negli anni a venire, considerando l’alta percentuale di fidelizzazione del mercato russo.

In questo modo, Putin si posiziona in un ruolo di comando all’interno dell’Opec+, rafforzando il ruolo internazionale della Russia anche in termini decisionali sul mercato del greggio. Estendendo la propria sfera di influenza sui Paesi del Golfo, la mossa assume particolare importanza anche per incrementare la propria forza diplomatica nelle attuali contese del Medio oriente.

I Paesi del Golfo si sono fatti cogliere impreparati

Nonostante la possibilità che la Russia si opponesse al taglio delle produzioni fosse già una quasi certezza, i Paesi del Golfo si sono lasciati cogliere in generale impreparati nell’affrontare le difficoltà del 2020. Non soltanto da un punto sanitario interno – che ha evidenziato moltissime lacune – ma soprattutto sulla gestione della crisi globale e delle mosse con cui contrastare gli scossoni del mercato del petrolio.

In questo modo, Riad e il restante dei Paesi arabi aderenti all’Opec+ sono stati sopraffatti dalla Russia che nonostante le produzioni complessivamente inferiori al blocco arabo è stata messa nelle condizioni di prendere le redini decisionali e decidere il prezzo del greggio, utilizzandolo a suo favore.

Stando a quanto preannunciato dai principali osservatori del mercato, il prezzo del greggio – in assenza di efficaci contromisure – è destinato a scendere a livello dei propri minimi, rischiando di abbassarsi anche al di sotto del valore critico di 30 dollari al barile. E in questa situazione, mentre le perdite di Mosca saranno nel complesso contenute, i Paesi del Golfo rischiano delle gravi ripercussioni che potranno essere assorbite soltanto dopo una netta ripresa; in uno scenario del tutto favorevole per la Russia, che ancora una volta si è dimostrata maestra nella gestione delle crisi internazionali.

 





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