Ci sono nel mondo alcune isole rimaste illese dal Covid. Il loro principale strumento di difesa è stato rappresentato dalla chiusura dei confini, misura attuabile anche grazie alla loro posizione geografica. Alla luce di ciò, le isole italiane potrebbero diventare “Covid-free”?

Il caso di Taiwan e dell’Australia

Lontana 180 Km dalla Cina, l’isola di Taiwan con i suoi 23 milioni di abitanti è un territorio soltanto scalfito da tutte quelle preoccupazioni che stanno attanagliando gli altri Stati del mondo in merito alla gestione della pandemia da coronavirus. Si tratta di un’isola “Covid-free”. Qui, per oltre 200 giorni consecutivi, non sono stati registrati casi di contagio. I rari episodi hanno riguardato solamente persone che arrivavano da altri Paesi. Da quando è iniziata la pandemia sono stati registrati soltanto 978 casi e 10 decessi e la seconda ondata non è mai arrivata.

Qual è stato il segreto della sua difesa? La chiusura. Ebbene sì, per il semplice motivo di essere un’isola, Taiwan ha avuto la possibilità di chiudere e controllare i confini ponendo una stretta sui viaggi da e per il suo territorio. Contatti sottoposti ad un rigido tracciamento, quarantene obbligatorie e imposizione dell’utilizzo della mascherina, hanno fatto poi il resto.

Un’altra isola felice è l’Australia. Circondata dall’Oceano Pacifico e da quello Indiano, con un numero di abitanti che si avvicina a circa 25 milioni, l’Australia ha un territorio molto più esteso rispetto a quello di Taiwan. É anche quasi due volte più grande dell’Unione Europea e la densità abitativa è quindi molto bassa. Questo sicuramente è stato uno dei punti di forza nell’impedire che i contagi corressero in modo impetuoso.

Qui già da ottobre i casi giornalieri sono rimasti circoscritti fra i 2 e i 6, ai quali si alternavano anche i giorni con zero casi. Come Taiwan anche l’Australia, grazie alla sua connotazione geografica, è riuscita a chiudere i confini e a controllarli. Chi è entrato nella nazione ha dovuto prima rispettare 14 giorni di quarantena dentro un albergo prima di poter circolare liberamente sul territorio. Posizione geografica e chiusura dei confini, almeno per il momento, hanno consentito a queste due importanti isole di proteggersi dal Covid.

I sette Paesi al mondo non ancora raggiunti dal Covid

Strano a dirsi, ma nel pianeta, a distanza di un anno dalla dichiarazione di pandemia, esistono Stati che hanno lo zero nella casella dei contagi da coronavirus. Sono le ultime nazioni che stanno resistendo alla diffusione globale del morbo scoperto nel novembre del 2019. Tutte hanno un punto in comune: essere Paesi insulari dell’Oceano Pacifico. Non si tratta quindi solo di isole, ma di territori molto remoti e difficili da raggiungere. Kiribati ad esempio è diventata nota due decadi fa in quanto primo Stato ad entrare, per ragioni di fuso orario, nel 2000 e quindi nel nuovo millennio. Oggi il Paese, composto da tre gruppi di arcipelaghi formati soprattutto da piccoli atolli, può vantare un altro primato: quello di essere il più popoloso, con i suoi 110mila abitanti, tra i pochi a non aver subito contagi da coronavirus.

A seguire in questa speciale classifica è il Regno di Tonga, sempre nell’Oceano Pacifico. Un Paese, a differenza di Kiribati, però più abituato ad essere a contatto con il mondo nonostante la sua lontananza dai continenti. Basti pensare che l’arcipelago esprime anche un vescovo nel collegio cardinalizio e qui è nata Fekitamoeloa Utoikamanu, attuale Alto Commissario dell’Onu per i Paesi meno sviluppati. Per diventare “covid free” Tonga nel marzo 2020 ha scelto la linea della chiusura rigida: da un anno nessuno può entrare o uscire. Stessa scelta operata da Nauru, isolotto che costituisce la più piccola Repubblica del mondo, altro Paese a zero contagi. Così come dalle autorità di Palau e Tuvalu, anch’essi Paesi insulari dell’Oceania covid free. A completare questa speciale classifica, sono Niue e le Isole Cook, Stati associati alla Nuova Zelanda.

Le particolarità del caso italiano

Un caso tutto italiano che fa ben sperare al passo verso lo status “Covid free” è la Sardegna. L’isola con i suoi 1.64 milioni di abitanti è l’unica Regione che in Italia ha dichiarato la zona bianca. Con circa 60 casi al giorno, sul territorio sono state abolite le forme di restrizione che vigono invece altrove dove si alternano di continuo le zone rosse e arancioni. Qui permane solo l’obbligo dell’utilizzo della mascherina e del distanziamento sociale.

L’isola italiana però non si è blindata: i suoi confini sono rimasti aperti e nessun obbligo di quarantena è stato imposto per chi vi ha messo piede provenendo da altri Paesi. Vero è che durante la stagione invernale l’isola non rappresenta una meta gettonata al contrario di quanto accade in estate. Come si ricorderà infatti è stato proprio durante l’estate scorsa che per effetto dei flussi turistici, la colonna dei contagi è salita alle stelle.

Scendendo più in basso, c’è poi la Sicilia. Qui, i casi di contagio sono ancora di una certa importanza e si aggirano intorno ai 500/600 al giorno. Ma si tratta di numeri più bassi e, allo stesso tempo, costanti rispetto al picco della seconda ondata tanto da farle meritare la zona gialla. Ci sono poi le piccole isole siciliane che non hanno vissuto l’emergenza sanitaria e che non sono passate indifferenti alla CNN che le ha definite “piccoli paradisi terrestri”. Si tratta di Linosa, Alicudi, Filicudi, Vulcano.

Sicilia e Sardegna le “Taiwan d’Italia?”

Essere un’isola non è di per sé un vantaggio in caso di epidemia. Lo dimostra l’esperienza della Gran Bretagna, Paese tra i più colpiti dalla pandemia. Ma potrebbe rappresentare un elemento fondamentale in caso di chiusura dei confini. Controllare il transito di persone su un’isola, grande o piccola che sia, è molto più semplice e agevole. Diviene quindi meno complicata la gestione di un’epidemia. L’attuale andamento delle infezioni in Sicilia e Sardegna lo dimostra: le due isole sono le regioni dove nelle ultime settimane, contrassegnate nel resto d’Italia dall’inizio della terza ondata, si è avuto il minor numero di vittime da Covid-19. Da qui una suggestione: possibile che le isole maggiori italiane ripetano, seppur a distanza di un anno, l’esperienza di Taiwan?

Gli aeroporti di Cagliari, Palermo e Catania stanno lavorando già da mesi al minimo delle loro possibilità. Lo scalo etneo ha registrato ad esempio un saldo negativo del 65% nel numero di passeggeri del 2020, il calo in quello palermitano è stato del 60%. Sono diminuiti i voli da e per le più importanti città italiane, una misura presa già durante il primo lockdown. Oggi sia la Regione Siciliana che la Sardegna hanno imposto controlli e tamponi una volta atterrati. Si è ben lontani dai modelli di Taiwan o dalla soluzione australiana, così come non si sta assistendo a una vera e propria blindatura dei confini. Ma proprio per il fatto di essere isole, Sicilia e Sardegna potrebbero assistere almeno a una stabilizzazione della curva: “Per queste regioni la prospettiva che si apre è interessante – ha commentato su InsideOver lo studioso Pierluigi Fagan – Potrebbero essere le prime a ripartire. Il loro isolamento geografico potrebbe rappresentare in questo caso un vantaggio”.