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Ogni anno l’intera città di Milano muore in un enorme incidente stradale. Ok, non prendiamola alla lettera. Però in termini numerici ci siamo. Secondo l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, 1,3 milioni di persone nel 2016 hanno perso la vita in uno schianto. Una strage che fa della circolazione stradale la prima causa di morte violenta dopo le cosiddette lesioni intenzionali, cioè le morti da violenza. Ma in quel caso si computano eventi molto diversi tra loro, dalla guerra agli attentati, dagli omicidi ai suicidi. E tra le persone tra i 15 e i 29 anni la strada è la trista mietitrice più esigente. Anche nel grande autoscontro globale esiste un mondo di serie A e un mondo di serie B. Il 93 per cento dei morti stradali si conta sulle strade dei Paesi in via di sviluppo, che hanno il 54 per cento dei veicoli circolanti. E il continente con più croci è l’Africa, che ha soltanto il 2 per cento del parco veicoli circolanti ma il 24 per cento dei morti totali. Una iattura che si aggiunge e si lega alle tante che affliggono quello che un tempo si chiamava il Continente Nero, dal momento che, oltre ai morti, ogni anno gli incidenti stradali provocano anche 50 milioni di feriti e costano dal 3 al 5 per cento del Pil ai singoli Paesi.

Il Paese dove si muore di più sulle strade è la Libia, con 73,4 morti ogni 100mila abitanti nel 2015. Seguono la Thailandia con 36,2, il Malawi con 35,0 e la Liberia con 33,7. Nella top ten altri cinque Paesi africani (Congo, Tanzania, Repubblica Centrafricana, Ruanda e Mozambico) oltre all’Iran. Nelle statistiche del 2015 mancano i dati del Venezuela, che è considerato uno dei Paesi con le strade più pericolose del mondo ma che in questo momento finisce sui giornali per altri motivi. Nei Paesi del primo mondo il dato è quasi dieci volte inferiore. L’Italia ha un tasso di mortalità stradale di 6,1 ogni 100mila abitanti ma molti Paesi fanno meglio come la Danimarca (3,5), Israele (3,6), i Paesi Bassi (3,4), la Norvegia (3,8), la Spagna (3,7), la Svezia (2,8), la Svizzera (3,3) e il Regno Unito (2,9). In molti Paesi il dato bassissimo è dato dalle dimensioni ridotte e dalla scarsa circolazione automobilistica: in Micronesia (1,9) forse usano soltanto microcar…

In Europa negli ultimi 15 anni i morti da incidente stradale si sono in linea di massima dimezzati (in Italia si è passati dai 6980 del 2002 ai 3283 del 2016; in Germania da 6842 ai 3459 del 2015; in Francia da 7630 a 3459, in Spagna addirittura da 5213 ai 1689 del 2015) grazie ai massicci e continui investimenti sulla rete stradale, a un parco auto continuamente rinnovato, a campagne di informazione martellanti e soprattutto a regole rigide fatte rispettare. In particolare pare decisamente efficace il sistema di patente a punti introdotto, con modalità abbastanza simili, in tutti i Paesi europei.

incidenti-stradali-europa-sicurstrada-etscNei Paesi in via di sviluppo invece esiste una sorta di fatalismo da parte dei governi, che sembrano pensare che sia fondamentalmente inutile investire in un settore, quello della sicurezza stradale, che appare meno fatidico rispetto ad altri problemi interni come l’instabilità politica ed economica. La causa principale della strage stradale globale è ovviamente la velocità eccessiva. In media tra il 40 e il 50 per cento dei guidatori supera i limiti e i più trasgressivi sono i giovani maschi, spesso sotto l’effetto di alcol o di droghe. Secondo l’Oms basterebbe una riduzione del 5 per cento della velocità media per fare calare del 30 per cento le morti da incidenti stradali.

«Se i Paesi affrontassero solo questo problema – garantisce il direttore generale dell’Oms Margaret Chan – avrebbero in breve tempo conseguenze positive sia in termini di vite salvate sia di aumento di pedoni e ciclisti, con effetti positivi sulla salute». Proprio pedoni e ciclisti, assieme ai motociclisti, appaiono invece attualmente il vaso di coccio della rete stradale mondiale e pagano il prezzo più alto in termini di mortalità, contribuendo per circa il 50 per cento alla Spoon River Road. Ma nel dettaglio quali sono i motivi per cui in particolare in Africa le parole strade e strage hanno una sola consonante di differenza? Prima di tutto, come detto, la velocità: solo il 47 per cento dei Paesi, che rappresentano però appena il 13 per cento della popolazione mondiale, hanno leggi avanzate in termini di velocità dei veicoli, con limiti generalmente di 50 km all’ora nei centri urbani spesso ritoccati al ribasso dalle autorità locali secondo le esigenze particolari.

Eppure le statistiche dimostrano che ogni chilometro all’ora in più aumenta del 3 per cento il rischio di incidenti e del 5 per cento il rischio di incidenti mortali. Poi c’è l’alcol: quando il tasso etilico è superiore a 0,5 grammi per litro il rischio di incidente aumenta in modo esponenziale. E per i guidatori giovani e inesperti l’Oms suggerisce un limite inferiore, di 0,2. Eppure solo il 34 per cento dei Paesi mondiali, che contano il 29 per cento della popolazione, hanno delle leggi efficaci in materia. Quindi c’è la cosiddetta sicurezza passiva.

Quasi tutti i Paesi prevedono l’uso del casco per i motociclisti, ma in realtà solo 44 Paesi, in rappresentanza del 17 per cento della popolazione mondiale, le fanno effettivamente rispettare. Tra essi l’Oms annovera anche l’Italia, ma chiunque sia stato a Napoli o in un’altra grande città del Mezzogiorno sa che purtroppo ancora giovani motociclisti senza casco sfrecciano per le strade spesso sotto agli occhi indifferenti delle forze dell’ordine, come mostra un video girato da una giornalista napoletana diffuso nei giorni scorsi. Più diffuso l’uso delle cinture di sicurezza: 105 Paesi, con il 67 per cento della popolazione mondiale, hanno regole efficaci in materia. Passo indietro per l’uso del seggiolino per bimbi: viene fatto usare soltanto nel 53 per cento dei Paesi in rappresentanza del 17 per cento della popolazione. Poi ci sono altre criticità che appesantiscono le statistiche africane: la difficoltà dei soccorsi, l’accesso rapido a strutture ospedaliere efficienti, la corruzione dilagante tra poliziotti che preferiscono una piccola tangente oggi a una multa che domani difficilmente sarà pagata. Ma il vero problema è che l’80 per cento del parco auto mondiale è insicuro, vecchio, inadeguato. L’Africa in particolare è lo sfasciacarrozze mondiale: lì finiscono la loro corsa veicoli che nel Primo Mondo vengono considerati ormai inservibili, grazie a un business globale da 2 miliardi di dollari. Le vecchie Fiat Regata che fanno da taxi in Guinea e le gloriose Renault 5 che hanno trovato nuova vita in Costa d’Avorio sono il vero simbolo di un mondo a due velocità. E in cui chi corre di più è chi sta indietro.

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