La Germania è stato il primo Stato europeo a essere interessato dall’ondata di casi di coronavirus provenienti dalla Cina: il primo caso è stato annunciato il 27 gennaio. Da quel giorno, la politica di Berlino nei confronti del diffondersi dell’epidemia ha seguito una traiettoria piuttosto anomala, nonostante ormai vi siano più di un migliaio di casi confermati (distribuiti praticamente su tutto il territorio nazionale) e le prime vittime. Solo in seguito alle due morti registrate il 9 marzo, il governo tedesco ha iniziato ad annunciare le prime serie misure di contenimento. Il rischio è stato sottovalutato o dietro a questa calma apparente si cela una strategia ben precisa?

Il “Paziente Uno” e il primo cluster in Baviera

Il 27 gennaio il ministero della Salute bavarese dichiara ufficialmente di aver riscontrato la positività di un cittadino tedesco di 33 anni, in precedenza venuto a contatto con una collega cinese di ritorno da Wuhan: fino ad allora non vi erano stati casi di trasmissione del virus tra persone non consanguinee al di fuori della Cina. Nei giorni seguenti le autorità di Monaco riportano un’altra decina di casi relativi all’azienda nella quale lavorava il “Paziente Uno”, la ditta di ricambi automobilistici Webasto con sede nella cittadina di Starnberg: gran parte dei malati era stata a contatto con il primo malato, per poi contagiare i propri familiari. Il “cluster bavarese” si esaurisce di fatto nei primi giorni di febbraio, con una decina di persone trattate in diversi ospedali del Land.

Solo il 27 febbraio, a un mese esatto dalla segnalazione iniziale, un uomo proveniente dalla regione di Norimberga risulta positivo al test dopo essere stato a contatto con un cittadino italiano a sua volta ammalatosi poco tempo prima: due giorni prima un 25enne originario di Göppingen, nel Land del Baden-Württemberg, diventa il primo caso di coronavirus registrato all’infuori dai confini della Baviera, subito dopo essere rientrato da un viaggio a Milano. Si tratta soltanto del primo di una nuova serie di episodi che colpiranno la regione nei giorni successivi: oltre al giovane, alla fidanzata e al padre di lei si ammalano infatti anche altre persone giunte a contatto con cittadini italiani risultati positivi al test oppure, come nel caso di un 32enne di Rottweil che si era recato a Codogno, precedentemente in visita nelle zone più a rischio. Non vanno inoltre dimenticati i due tedeschi trovati positivi dopo il rimpatrio da Wuhan. Con l’inizio di marzo le segnalazioni aumentano esponenzialmente in tutto il territorio nazionale, fino agli oltre 1300 malati di oggi. Si registra quindi una sorta di “buco” di circa un mese tra i primi quattordici casi in Baviera e lo scoppio dell’epidemia vero e proprio. Un lasso di tempo nel quale, se si eccettuano alcuni sporadici appelli da parte delle autorità locali e il blocco dei voli Lufthansa da e per la Cina, il governo federale non sembra aver preso significative misure di contenimento, arrivando al punto di definire, il coronavirus un semplice problema passeggero ingigantito dalle teorie cospirazioniste che girano su Internet, come affermato dal Ministro della Salute federale Jens Spahn pronunciate il 28 gennaio.

Ritardi, silenzi e debolezze

La triste classifica del maggior numero di malati è ad oggi guidata dal Nordreno-Vestfalia, dove 484 persone sono risultate positive al test dopo che il 25 febbraio un 47enne di Heinsberg era stato ufficialmente dichiarato il primo caso del Land, il più popoloso della Germania. La stessa Heinsberg e le cittadine circostanti si sono di fatto trasformate in un focolaio con 277 casi confermati. Una situazione preoccupante che non ha impedito alle autorità di autorizzare imponenti manifestazioni come quella di sabato scorso a Mönchengladbach, città a meno di 40 chilometri dal centro dell’epidemia: l’atteso derby di Bundesliga tra la locale squadra di calcio e il Borussia Dortmund non è infatti stato cancellato né rinviato, attraendo 54mila persone nei pressi di uno degli epicentri della crisi.  La Lega Calcio tedesca ha continuato a dichiarare che non sono previste sospensioni, e che il campionato si terrà regolarmente fino a fine maggio: una decisione controversa che solo ora, con i primi decessi registrati a Essen e nella stessa Heinsberg (entrambe in Nordreno-Vestfalia), sembra essere destinata a cambiare: il match renano tra Schalke e Dortmund si giocherà infatti a porte chiuse. Anche a Berlino il virus sta conoscendo una diffusione rapida e preoccupante, con 48 casi confermati ad oggi probabilmente legati allo stesso ceppo di quelli di Heinsberg, circondario dal quale proveniva lo studente 22enne risultato positivo a fine febbraio e subito ricoverato nel centro epidemiologico della capitale, un destino simile a quello occorso ad alcuni giovani che il 29 febbraio si trovavano presso il club “Trompete”. Neanche questi dati hanno però condotto a una netta presa di posizione da parte di Angela Merkel, che sin dalla fine di gennaio ha mantenuto un basso profilo sul tema, quando non una vera e propria riluttanza ad affrontarlo. Le dichiarazioni ufficiali della Cancelleria restano generiche e incentrate sul buonsenso: “Siamo fiduciosi che la situazione potrà risolversi senza bisogno di applicare misure drastiche: il governo sta facendo il possibile per rallentare l’avanzata della malattia”, ha dichiarato il portavoce del Reichstag Steffen Solbert. Uno sforzo che tuttavia resta visibile solo a parole, se si eccettuano le spontanee iniziative delle singole aziende (alcune delle quali impongono la quarantena a chi rientra da aree ritenute a rischio come Cina, Iran, Corea del Sud e Italia) e di Land come la Baviera, che ha bandito gli assembramenti di più di mille persone, o del Brandeburgo, che ha isolato una cittadina di 3mila abitanti a un centinaio di chilometri dalla capitale. Misure timide e probabilmente poco efficaci che riflettono il comportamento delle élite politiche a Berlino, incalzate soltanto da alcune forze politiche come il partito di estrema destra AfD (che ha chiesto di blindare le frontiere) e dall’Istituto Koch, massima autorità del Paese per quanto concerne le malattie virali.

Che cosa potrebbe succedere adesso

Lo scenario attuale resta un’incognita: sotto molti aspetti la vita di tutti i giorni rimane quella di sempre, eil coronavirus sembra essere un tema utilizzato come una sorta di “spauracchio” da parte di tabloid e media ritenuti pocoaffidabili: i principali quotidiani nazionali continuano a relegare la vicenda alle proprie pagine interne, dando molto più risalto a quanto accade in Italia o in Cina. L’accento, da parte di Merkel e soci, viene posto sulla necessità di mantenere un’economia solida e funzionante, per consentire la quale sono stati annunciati sussidi alle aziende e un ampio programma di aiuti che potrebbe arrivare a stanziare ben 50 miliardi di euro: manifestazioni e incontri sportivi non accennano però a fermarsi, e nonostante esista un invito a limitare i grandi eventi da parte del Ministero federale della Salute, non esiste un divieto ufficiale in questo senso. Scuole e università restano aperte, e le uniche restrizioni sui viaggi si applicano a chi proviene da Paesi come l’Italia, soggetto a presentarsi all’ufficio sanitario di competenza. Eppure, i numeri non lasciano per nulla sereni: l’aumento dei casi, oggi più di 1300 con un aumento di positivi del 20% tra domenica e lunedì, è esponenziale e ricorda molto da vicino quanto occorso in Italia nelle scorse settimane, nonostante le vistose differenze nella gestione della crisi. Sebbene si possa definire la situazione tedesca come fatta di due momenti ben distinti, ovvero quello legato ai casi in Baviera di fine gennaio/inizio febbraio e quello successivo su scala nazionale di questi giorni, è lecito ipotizzare che possano esservi state anche delle falle nei controlli e nei test, che in alcune situazioni (come quella del primo caso a Berlino) sono stati somministrati soltanto per caso dopo che quelli relativi all’influenza avevano dato esito negativo.

Soltanto in seguito all’annuncio delle due prime vittime, dunque, Berlino sembra intenzionata a cambiare (se non con forza perlomeno nei fatti) il proprio approccio verso una minaccia ritenuta per lungo, troppo tempo, solamente un problema passeggero. Problema che, tuttavia, ha preso piede in Europa proprio a queste latitudini.