2 ottobre 2020, una data che è già entrata nei libri di storia. Quel giorno, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato alla nazione la volontà di portare a compimento un progetto del quale si discute da diversi anni, ovvero la lotta al cosiddetto separatismo islamista, ignorando e non potendo prevedere che, nei giorni giorni successivi, un affare squisitamente interno avrebbe dato vita ad una controversia internazionale con il mondo musulmano, magistralmente cavalcata dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan, a base di disordini, violenze e, soprattutto, morte.

La verità, però, è molto più complessa rispetto al quadro generale che è stato dipinto dalla grande stampa e dall’analisi politica convenzionale. Le iniziative popolari di boicottaggio contro i prodotti francesi, le proteste popolari che stanno avendo luogo dal Marocco al Bangladesh e, infine, gli attentati, non sono il semplice frutto di una macchinazione turca. La Francia sta subendo gli effetti di un fenomeno previsto dal ramo neomedievalista della scuola realista di relazioni internazionali: lo scontro tra due mondi, uno entrato in una dimensione post-storica e l’altro fermamente immerso nella storia.

Come si è giunti alla strage di Nizza?

La controversia internazionale tra Francia e mondo islamico ha raggiunto l’apogeo nella giornata del 29 ottobre, quando un terrorista di nazionalità tunisina ha ucciso tre persone a Nizza in un attentato con arma bianca. Non è dato sapere, al momento, se l’atto terroristico sia imputabile ad un lupo solitario o se, invece, sia da leggere come parte di un disegno più vasto partorito dall’internazionale jihadista, perché, nel corso della stessa giornata, si sono susseguiti un attacco contro il consolato francese di Gedda (Arabia Saudita) e sono state sventate tre stragi ad Avignone, Lione e Sartrouville.

Come si è arrivati al fatti di sangue del 29 ottobre è noto. Nei giorni successivi all’annuncio del piano contro il separatismo islamista ha avuto inizio una stretta contro moschee, centri culturali, luoghi frequentati da islamisti e associazioni islamiche, che è stata sfruttata dalla Turchia per denunciare una presunta campagna di persecuzione contro i musulmani francesi e aizzare l’intera umma contro Macron.

Una miscela esplosiva di periferie abbandonate a se stesse, propaganda turca estremamente divisiva e passi falsi di Macron – passato dal voler giustamente lottare contro il separatismo islamista al denunciare l’islam in quanto religione, poiché ritenuto retrogrado, fondamentalmente esiziale per la Repubblica e, quindi, “da riformare” – ha creato il contesto per l’assassinio di Samuel Paty

Macron il miope, Erdogan il saggio

Il capo dell’Eliseo è caduto nel tranello di Erdogan e dell’internazionale jihadista, adottando la loro stessa retorica da scontro di civiltà e utilizzando la rivista satirica Charlie Hebdo quale mezzo e fine al tempo stesso. Pochi giorni dopo, nel pomeriggio del 21, a Tolosa e Montpellier sono state proiettate alcune vignette islamofobiche della rivista per celebrare la morte dell’insegnante e il presidente turco ha conseguito il proprio obiettivo: il mondo musulmano ha finalmente raccolto l’appello alla rivolta di Ankara, legittimandone indirettamente il ruolo di paladina dell’islam, ed è stato avvolto da una cappa d’odio antifrancese.

Kuwait e Qatar hanno lanciato delle campagne di boicottaggio contro le merci francesi, in Marocco si è assistito all’annullamento di una visita di stato ufficiale di Macron programmata per novembre, e manifestazioni contro Charlie Hebdo e Macron sono state organizzate in tutta la regione Medio Oriente e Nord Africa, espandendosi poi in Asia meridionale. L’insieme di questi eventi funge da ennesima dimostrazione di un fatto: Erdogan è tra i più grandi strateghi del nostro tempo. Il presidente turco, infatti, suggerito dall’influente e capace consigliere Mevlut Cavusoglu, è stato in grado di trasformare un affare interno francese in una questione di rilevanza mondiale e di unire una realtà estremamente divisa come il mondo islamico sotto la bandiera turca, anche se soltanto a livello morale.

Oltre il riduzionismo

Erdogan, in breve, ha saputo cavalcare l’indignazione del momento provocata da alcuni errori di Macron, ai quali si somma l’ultima uscita editoriale di Charlie Hebdo, ma questo non significa che quanto sta accadendo sia un semplice capitolo dello scontro fra Francia e Turchia.

Erdogan non ha alcuna influenza in Marocco, eppure è lì che il clima di tensione ha raggiunto vette tali da condurre all’annullamento della bilaterale tra Macron e il re Muhammad VI. La Turchia esercita un potere di condizionamento minimale sulla comunità musulmana del Bangladesh, eppure è lì che, il 27, ha avuto luogo una gigantesca marcia antifrancese, alla quale hanno partecipato almeno 40mila persone. L’attentatore di Nizza, inoltre, non aveva legami con la Turchia: è un giovane tunisino, classe 1999, approdato recentemente in Europa via Lampedusa. Infine, l’influenza turca è virtualmente inesistente in Arabia Saudita, eppure è lì che, a poche ore dalla strage di Nizza, un terrorista ha assaltato il consolato francese di Gedda.

Questi fatti sono la prova che Erdogan ha cavalcato la rabbia, ma non l’ha creata; esiste una differenza sostanziale tra i due assunti. L’incapacità di comprendere la profondità della situazione è uno dei motivi per cui in Francia, come nel resto dell’Occidente, non si è riusciti a combattere l’islam radicale e il terrorismo e ad arrestare i processi di radicalizzazione a diciannove anni dall’11 settembre 2001.

A questo punto, però, sarebbe sbagliato anche sottostimare il ruolo effettivamente svolto dalla Turchia nell’intera vicenda. Ankara ha un’influenza all’interno della comunità islamica francese equiparabile a quella di Riad, laddove quest’ultima è maggiormente attiva nel controllo delle moschee, mentre la prima è presente via Fratellanza Musulmana, Lupi Grigi, centri culturali, organizzazioni nongovernative e associazioni caritatevoli.

Inoltre, in Francia sono presenti reti spionistiche e cellule rispondenti all’Organizzazione di Informazione Nazionale (MIT, Millî İstihbarat Teşkilâtı), proprio come in Germania e in Austria, che possono essere utilizzate e attivate in qualsiasi momento per condurre operazioni di destabilizzazione e omicidi su commissione, come dimostrato dall’eliminazione di tre militanti del PKK del gennaio 2013 e dalle “cacce all’armeno” verificatesi nell’ultima settimana di questo mese.

Collegare la controversia internazionale alla situazione domestica francese è l’unica maniera per avere una visione a trecentosessanta gradi e una comprensione completa degli eventi. La strage di Nizza, il caso Paty e le periferie francesi in fermento non sono il mero riflesso di uno scontro tra Erdogan e Macron; la Francia sta venendo travolta da due fenomeni differenti ma interrelati: una guerra ibrida con la Turchia e una guerra civile molecolare che è frutto di un modello d’integrazione fallito.

La Francia è entrata nel Nuovo Medioevo

Lo scienziato politico Philip Cerny nel 1998 pubblicava “Neomedievalism. Civil War and the New Security Dilemma”, accusando la globalizzazione di aver dato vita ad un processo di “disordine duraturo” (durable disorder) il cui esito finale sarebbe stato, appunto, un ritorno al Medioevo.

Questo nuovo Medioevo, secondo Cerny, sarebbe stato caratterizzato, tra le altre cose, dal ritorno in scena dei tribalismi, dall’aumento delle inuguaglianze economiche, dalla frammentazione delle identità e dalla proliferazione di “zone grigie” (grey zones), ossia di enclavi al di fuori del controllo delle autorità. Tutto questo, ovviamente, secondo Cerny, avrebbe avuto delle gravi ripercussioni dal punto di vista della coesione sociale e della sicurezza, alimentando conflitti dalla difficile risoluzione a causa del ritiro degli stati dai loro stessi confini.

Al concetto delle zone grigie di Cerny si lega in maniera significativa la previsione altrettanto distopica sulle cosiddette “guerre civili molecolari” del filosofo tedesco Hans Magnus Enzensberger. La teoria è stata popolarizzata nel 1992 nel libro “Prospettive sulla guerra civile molecolare”, che Enzensberger scrisse in qualità di testimone delle violenze politiche e razziali che stavano avvolgendo la Germania riunificata, afflitta dagli scontri fra estrema sinistra e neonazisti e fra questi ultimi e la sempre più corposa comunità turca.

Secondo il pensatore tedesco, ciò che stava accadendo non era un fenomeno contingente, né tantomeno ristretto al suo paese, ma permanente e destinato ad allargarsi al resto del continente. Il futuro dell’Europa, e a latere del mondo sviluppato, sarebbe stato dominato dalla pervasività e dalla quotidianità della violenza, che avrebbe attanagliato la tranquillità degli “uomini buoni” in diverse forme: microcriminalità diffusa, banditismo urbano (soprattutto a composizione giovanile), periodiche rivolte sociali e razziali, aumento della brutalità e dell’amoralità tanto da parte dei criminali che da parte delle persone comuni.

È difficile non pensare alla teoria di Cerny sulle zone grigie rivolgendo lo sguardo al problema delle cosiddette “no go zones” (let. aree ad accesso vietato) che affligge sempre più paesi dell’Europa occidentale: dalla Francia alla Svezia, passando per Belgio, Danimarca, Germania e Inghilterra. Si tratta di aree in cui lo stato è assente, dove la lingua maggioritaria della popolazione non è quella degli autoctoni, dove micro- e macro-criminalità dilagano, e dove integrazione e mobilità sociale restano un miraggio.

Nella sola Francia, le indagini della Direction générale de la Sécurité intérieure (DGSI) hanno appurato l’esistenza di almeno 150 i quartieri, prevalentemente banlieu e zone-dormitorio, fuori dal controllo delle istituzioni e comandati da reti più o meno informali legate al jihadismo e all’islam radicale. Si tratta di quartieri in cui la shari’a ha già sostituito le leggi civili della repubblica e la mai avvenuta integrazione ha creato delle bombe ad orologeria che periodicamente esplodono, lasciando a terra morti e feriti, e che hanno spinto lo stesso Macron a denunciare il rischio di scenari separatisti.

Rimanendo nel contesto francese, le espressioni più recenti di guerre civili molecolari frutto della proliferazione di zone grigie sono, ad esempio, i disordini di Digione dello scorso giugno tra le comunità cecena e magrebina, l‘assalto dinamitardo al commissariato di Champigny-sur-Marne del 10 ottobre, e, infine, il vortice di tensioni interreligiose di questo mese.

Fare ricorso alle lenti di Cerny ed Enzensberger per dare un’interpretazione ai problemi che affliggono l’Occidente contemporaneo, però, non è sufficiente. Una comprensione persino migliore del quadro, in particolar modo di quello francese, è possibile per mezzo del recupero di un altro autore appartenente alla scuola neomedievalista: Benjamin Barber.

Barber, nel 1995, dava alle stampe “Jihad vs McWorld”, un testo profetico al pari delle opere di Cerny ed Enzensberger. Secondo l’autore, nel post-guerra fredda si sarebbe assistito ad uno scontro tra il modello di civiltà del Nord, il McMondo, rappresentato dalla globalizzazione e sostanzialmente cosmopolita, nichilista e votato al consumo, e quello del Sud globale, il Jihad, ancorato alla tradizione, al localismo e all’esaltazione delle identità ancestrali.

Questo scontro, secondo Barber, non avrebbe avuto luogo nelle sensibili linee di faglia huntingtoniane, ma all’interno delle società avanzate, entrate nella fine della storia e, perciò, incapaci di comprendere, e impreparate ad affrontare, l’onda d’urto promanante dalla collisione con popoli immersi nella storia, ovvero identitari, conservatori, patriottici e religiosi. La Francia può essere elevata a caso modello di scontro tra Jihad e McMondo, due realtà perennemente in contatto, eppure, mai del tutto comunicanti e che, quando si incontrano, si scontrano.

La strage di Nizza, l’assalto armato al commissariato di Champigny-sur-Marne, la decapitazione di Samuel Paty, la guerra urbana di Digione e la tensione costante nelle banlieu; tutto è collegato e ha una radice comune. Erdogan rappresenta soltanto una parte del problema, l’ultima, la più recente e la meno importante. Il vero problema, però, è dentro la Francia.