Era stato uno dei Paesi più duramente colpiti dall’arrivo della seconda ondata lo Stato d’Israele, e al tempo stesso il primo ad aver obbligato i propri cittadini a rinunciare alle festività con la chiusura forzata dello scorso autunno. Adesso, però, Tel Aviv potrebbe essere il primo ad aver fornito in tempi stretti e rapidi una risposta alla pandemia, in attesa che si possa accertare la reale forza delle vaccinazioni immesse sul mercato.

Ad un ritmo di una persona ogni due minuti in ogni struttura destinata alla vaccinazione di massa, come riportato dalla testata britannica The Times, Israele a messo in piedi un’organizzazione davvero invidiabile. Da quando il programma del vaccino è infatti effettivamente partito nel Paese, i ritmi di lavoro sono stati impressionanti ed hanno permesso ogni giorno di vaccinare sino a 150mila, per la maggior parte anziani che negli ultimi mesi hanno vissuto quasi tutto il tempo confinati nelle proprie abitazioni, spesso senza gli affetti dei propri cari. E adesso, dopo mesi di sofferenza, la popolazione di Israele inizia a intravedere la luce in fondo al tunnel, rivelandosi il primo Paese al mondo (forse soltanto dopo la Cina, cui dati però continuano ad essere non totalmente affidabili) che potrebbe davvero battere il coronavirus.

Velocità e sicurezza: la scommessa di Israele

Nonostante negli ospedali e nelle strutture autorizzate venga lavorato un vaccino ogni due minuti, l’intero ciclo di accoglienza, somministrazione e dimissione avviene rispettando le normative di sicurezza per  evitare la nascita di pericolosi focolai. Rilevazione della temperatura all’ingresso, costanti disinfettazioni e uscite scaglionate dalla struttura per singola persona o nucleo familiare, in uno scenario che mette in rilievo l’estrema e peculiare organizzazione che ha saputo fornire lo Stato di Israele.

Non essendoci Paesi che sino a questo momento sia per le infezioni sia per le vaccinazioni abbiano raggiunto ancora la cosiddetta immunità di gregge, quella di Tel Aviv rimane una scommessa. E al tempo stesso una perfetta cartina al tornasole per valutare quanto l’introduzione del vaccino sarà realmente grado (e in quali tempistiche) di restituirci la vita alla quali eravamo abituati. Senza restrizioni e senza distanziamenti forzati, nell’affetto delle nostre conoscenze.

L’Europa è ancora indietro

Differentemente da quanto accade attualmente in Israele, in Europa le vaccinazioni stanno procedendo assolutamente a rilento. In parte per l’avere a disposizione sino a questo momento un solo vaccino (con BionTech che ha già dichiarato di non essere in grado di sostenere i ritmi richiesti) e in parte per i soliti litigi e bisticci interni a rallentare i lavori, Bruxelles sembra essersi fatta cogliere – nemmeno a sottolinearlo – impreparata. Ancora una volta.

Certo, Israele può fare affidamento su strutture sanitarie all’avanguardia e soprattutto su una popolazione ridotta (oltre, ovviamente, al prendere le decisioni in assoluta autonomia), vero però che l’Unione europea, se davvero volesse dimostrare la sua grandezza a livello internazionale, dovrebbe essere in grado di tenere gli stessi ritmi di Tel Aviv. Tutto questo, però, al momento non sta accadendo, con l’Europa che, a differenza di Israele, per iniziare a intravedere la luce in fondo al tunnel dovrà ancora attendere svariati mesi e fare, probabilmente, affidamento sulla sperata “pausa” estiva. Evidenziando purtroppo però, e ancora una volta, i giganteschi limiti della struttura organizzativa e decisione di Bruxelles, fatta realisticamente di troppa burocrazia e caratterizzata da una lentezza esecutiva destinata a lasciarci indietro rispetto al resto del mondo.

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