La Polonia è considerata, a ragione, l’ultimo bastione del cattolicesimo in Europa, per via della popolarità che la Chiesa ancora riscuote, per il numero di praticanti regolari ai servizi religiosi e per la presenza di una classe politica con visioni plasmate sui valori cristiani.
Eppure, il Paese sta affrontando una crisi identitaria senza precedenti perché la crescente secolarizzazione ha prodotto l’emersione di forze sociali e politiche che chiedono la marginalizzazione della Chiesa cattolica dalla vita pubblica e il riconoscimento di battaglie come il multiculturalismo e i diritti Lgbt, che si stanno scontrando con veemenza e violenza con un fronte compatto e numeroso composto da politici conservatori, attivisti dell’estrema destra, e clero cattolico.
Diritto, giustizia e cattolicesimo
Diritto e Giustizia (PiS) è un partito di destra, ancorato su posizioni conservatrici e del cattolicesimo sociale, che è stato fondato nel 2001 dai fratelli Lech e Jarosław Kaczyński. Il primo fu presidente del Paese dal 2005 al 2010, anno in cui morì in un incidente aereo insieme a una parte consistente dell’allora governo, il secondo è l’attuale leader del partito ed è considerato l’eminenza grigia della Polonia.
Dopo anni di opposizione e oscuramento culturale e mediatico, il PiS stravince le parlamentari del 2015, ottenendo il 37,6% dei voti – la percentuale più elevata mai conseguita da un solo partito dalla caduta del comunismo – e dando rapidamente forma alla visione di Jarosław Kaczyński basata su patriottismo, religiosità e conservazione culturale.
Mondo dell’informazione, istruzione e giustizia vengono presi di mira dalle riforme dell’esecutivo poiché accusati di promuovere un’agenda antinazionale. I media, posti sotto controllo governativo, iniziano a limitare lo spazio dedicato a pensatori liberali, europeisti, anticattolici, mentre i testi scolastici vengono riscritti secondo criteri di revisionismo storiografico.
Nonostante la montante opposizione, anche a livello di proteste popolari, il partito ha continuato la propria ascesa, come palesato dall’incremento dei seggi ottenuti alle elezioni locali del 2018 e alle europee di quest’anno. Il successo di PiS è legato grosso modo alla vitalità del mercato del lavoro e alle politiche per la famiglia basate su assegni generosi, ma anche al fatto di aver colto con successo la transizione in corso nella società polacca.
Nazionalismo e religione continuano ad essere importanti per la maggioranza silenziosa che è ostile alla politica dei confini aperti, diffidente verso il multiculturalismo, contraria al nichilismo valoriale e all’introduzione nel Paese dell’aborto e dei diritti Lgbt. Il PiS ha semplicemente raccolto il malumore di questa parte dell’elettoralo ignorata dalle forze liberali, sposando le battaglie del clero e della sempre più influente estrema destra.
I gay pride della discordia
In prossimità delle parlamentari di ottobre, il PiS ha lanciato una nuova guerra culturale, diretta contro l’ideologia di genere e la lobby omosessuale, e il risultato è stato l’aumento inaspettato della polarizzazione sociale e della violenza. Era già accaduto l’anno scorso che squadre di attivisti nazionalisti e cattolici confrontassero le parate dell’orgoglio omosessuale, ma quest’anno le violenze sono state maggiori, per intensità e capillarità, e sono degenerate in scontri pesanti con le forze dell’ordine. I gruppi antiomosessuali erano ben organizzati, sostenuti dalla folla e composti da migliaia di giovani, armati e alla ricerca del contatto fisico.
L’opposizione ha accusato PiS di aver creato il clima di tensione imperante nel Paese attraverso una strategia comunicativa basata sulla retorica della difesa delle radici ad ogni costo, dell’obbligo di proteggere la nazione dalla decadenza occidentale, sulla necessità di estirpare l’ideologia di genere da strade e scuole.
La stagione delle gay pride era stata anticipata da una campagna anti-arcobaleno promossa da più di 30 amministrazioni locali governate da PiS, unitesi per elaborare delle legislazioni in difesa della famiglia naturale e dichiaratesi “libere dall’ideologia lgbt”. L’iniziativa era stata ampiamente pubblicizzata a livello mediatico; ad esempio il quotidiano a tiratura nazionale Gazeta Polska aveva distribuito ai lettori delle etichette recanti la stessa scritta (lgbt-free zone), da incollare per le strade delle città che vi aderivano.
La chiesa cattolica ha assunto una posizione decisa sul tema, concordando in toto sulla linea dell’esecutivo, anche rischiando di perdere credibilità agli occhi dei credenti più liberali. D’altronde, erano stati proprio i vertici del clero nazionale a chiedere al governo di aumentare gli sforzi per contrastare l’arrivo dell’ideologia di genere nelle scuole di ogni ordine e grado, sin dalla sua entrata in carica.
L’1 agosto, in occasione della celebrazione del 75esimo anniversario della rivolta di Varsavia, l’arcivescovo di Cracovia, Marek Jędraszewski, ha tuonato contro l’ideologia di genere, giudicandola una piaga culturale, peggiore del comunismo, che minaccia l’integrità del tessuto sociale della nazione, invitando i fedeli a lottare contro la sua propagazione.
L’omicidio di Paweł Adamowicz
Il 2019 si è aperto con l’assassinio di Paweł Adamowicz, sindaco di Danzica dal 1998, uno dei politici più carismatici ed ammirati del Paese. Prima della sua svolta laica, liberale ed europeista, era stato un protagonista della caduta del comunismo e, perciò, era stato insignito da Giovanni Paolo II della Croce Pro Ecclesia et Pontifice, un alto riconoscimento vaticano.
A partire dal 2014 era diventato una delle voci più critiche dell’esecutivo e, in particolare, si stava dedicando a fare lobbismo per i diritti omosessuali e per un cambio di rotta nella politica dell’accoglienza. Pianificava di trasformare Danzica nella città polacca più europeista, liberale e gay-friendly.
La sera del 13 gennaio viene accoltellato a morte da Stefan Wilmont, un 27enne con precedenti penali e problemi psichici, mentre su un palco allestito nel centro di Danzica stava prendendo parte ad un affollato evento di beneficenza. Adamowicz è il primo politico ad essere ucciso nella Polonia post-comunista.
L’opposizione accusa di responsabilità morale i leader di PiS, che a loro volta rimandano le accuse al mittente. Il dibattito, tutto politico, che segue l’omicidio, porta in secondo piano i retroscena controversi dell’omicidio. Wilmont, infatti, era riuscito a salire sul palco perché si trovava nel dietro le quinte, dove era entrato grazie ad un tesserino da giornalista. Le indagini non hanno fatto luce su come l’uomo fosse entrato in possesso del documento, alimentando l’idea che, forse, un complotto potrebbe aver avuto luogo.