È una malattia, la malaria, che troppo spesso viene considerata, sopratutto in occidente dove da decenni non si registrano più casi, come un problema consegnato al passato: una questione archiviata, completamente eradicata e sconfitta dallo sviluppo della scienza e dai progressi dell’uomo. È un errore invece questo, un errore grossolano dal momento che, a causa dei parassiti della zanzara anofele, muoiono ancora, ogni anno, nel mondo, centinaia di migliaia di persone, sopratutto nell’Africa sub-sahariana.
Una lettura attenta del report pubblicato a fine 2019 dall’Organizzazione mondiale della sanità mostra infatti che la malaria è un problema dalla portata enorme a livello globale, nel solo 2018 i casi sono stati oltre 228 milioni, il 93% dei quali nel continente africano e il restante nel sud est asiatico, i decessi sono stati oltre 405mila e più della metà tra i bambini. Sebbene dei progressi nella lotta contro la malattia negli anni siano stati raggiunti, come dimostra il fatto che nel 2010 i decessi furono 585mila e i contagi si attestarono intorno ai 251 milioni, la battaglia contro la zanzara anofele e le problematicità collaterali che comporta, è ancora lontana dal potersi considerare conclusa o prossima a una soluzione definitiva.
In questi giorni però, in tre Stati africani, si sta verificando un evento che, se darà gli esiti sperati, potrebbe essere l’inizio di una vera e propria rivoluzione nella lotta contro l’infezione. All’interno di un progetto coordinato dall’Organizzazione mondiale della sanità e che vede impegnati sia i settori del pubblico che le imprese private, in Malawi, Ghana e Kenya, si sta assistendo a una distribuzione su larga scala del primo vaccino della storia contro la malaria. L’obiettivo del progetto è quello di dare una copertura a 120 mila bambini all’anno, tra il 2019 e il 2022, di età compresa tra i 5 mesi e i 2 anni.
Il Malawi è stato il primo Paese, ad aprile, a proporsi come capofila per quel che riguarda la vaccinazione dei bambini e ad abbracciare un progetto che, negli anni trascorsi, è stato comunque al centro di polemiche nel mondo scientifico e accademico.
Già a giugno 2015 si accese un forte dibattito sul Mosquirix – il nome commerciale del Rts,s il farmaco realizzato dal colosso farmaceutico britannico GlaxoSmithKilne – tra chi sosteneva che il vaccino non fosse abbastanza efficace e chi invece difendeva la tesi per cui era meglio un vaccino imperfetto piuttosto che non avere alcun vaccino. Stando infatti agli studi sperimentali condotti dal 2009 al 2015, questo vaccino riduce del 39% il numero di episodi di malaria nei bambini tra 17 mesi e cinque anni. Fu quindi evidente che l’efficacia del vaccino era relativa e non garantiva neppure una copertura del 50%, ma un’ulteriore questione che fece sorgere dubbi e polemiche fu quella relativa alle modalità di somministrazione. Il Mosquirix prevede infatti quattro dosi distribuite in cinque mesi e ciò significa che il farmaco deve essere conservato a temperature precise in specifiche condizioni di mantenimento e poi che i bambini sottoposti alla prima vaccinazione debbano puntualmente ripresentarsi senza ritardi agli altri tre appuntamenti. Questioni non irrilevanti in un continente come l’Africa che ogni giorno deve scontrarsi con il problema della mancanza di corrente elettrica e delle difficoltà di comunicazione e logistiche tra le aree rurali e le città.
Alla fine il compromesso tra le due parti fu quello di avviare il progetto inizialmente soltanto in tre Paesi e con la consapevolezza che, sebbene il vaccino non garantisse una copertura totale, sarebbe potuto comunque essere uno strumento importante per salvare vite umane e un punto di partenza significativo per una nuova fase della lotta alla malattia.
A mesi di distanza dalle prime distribuzioni del farmaco, qual è la situazione nei tre paesi dove questo è stato somministrato? La testata scientifica Science ha fatto sapere che in Malawi sono stati sottoposti al primo ciclo di vaccinazione oltre 35mila bambini e che è stato creato anche un sistema di coordinamento e monitoraggio per permettere a questi di potersi presentare senza problemi, nelle strutture sanitarie predisposte, quando dovranno essere loro somministrate le altre tre dosi del farmaco. Per quel che riguarda il Kenya e il Ghana, essendo il progetto partito in ritardo, non è ancora fattibile avere dati specifici e poter tirare i primi bilanci. In ogni caso, al di là delle casistiche e delle statistiche una visione molto lucida sull’utilità e gli effetti di Mosquirix, l’ha mostrata Giampietro Pellizzer, infettivologo di Medici con l’Africa Cuamm che in un’intervista rilasciata all’Università di Padova ha così commentato l’introduzione del vaccino e ha espresso un punto di vista molto lucido sull’evoluzione della lotta alla malaria: ”Al vaccino è stato dato un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi da qui al 2030. Cioè ridurre del 90% la mortalità e il numero di casi di malaria e arrivare all’ eliminazione della malaria in almeno 35 Paesi in cui attualmente è presente. La vaccinazione è uno degli strumenti validi per raggiungere questo obiettivo e come tale va interpretato. Da sola non è pensabile però che possa farcela, così come non è sufficiente avere un buon test diagnostico o una terapia: quello che serve è un insieme di strumenti che permetta di arrivare prima al controllo e poi all’ eliminazione della malattia”.