Il Papa è uscito dalla sua “prigionia”, così come l’ha definita nella prima e nella seconda fase della pandemia. Con un dettaglio non da poco: come meta della prima visita dopo il blocco degli spostamenti Francesco non ha scelto un posto privo di significato geopolitico. Il viaggio in Iraq rischia peraltro di rappresentare un vero e proprio punto di svolta per l’intero pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Anche alcuni commentatori  tendenzialmente critici verso l’operato dell’attuale vescovo di Roma, in queste ore, hanno riconosciuto la potenza dei messaggi lanciati nella tre giorni irachena dal Santo Padre.

Anzitutto il periodo: l’ex arcivescovo di Buenos Aires aveva in programma di andare in Iraq da tempo, ma la visita era considerata a rischio per via della pandemia e a causa del contesto. Ma il Papa, che si è vaccinato contro il Sars-CoV-2, non ha avuto timore della folla che lo ha atteso, oltre che del substrato culturale e politico iracheno. Nonostante tutto, è andata bene. Un po’ come ha fatto il predecessore Joseph Ratzinger quando si è recato al capezzale del fratello Georg subito dopo la fine del primo lockdown, ma in una misura diversa.

Poi c’è l’Isis: l’attenzione mediatica e psicologica in questi mesi si è spostata sul Covid19, e del pericolo legato al jihadismo si tende a parlare meno. L’Iraq però non può dimenticare. Il passaggio sulle rovine Mosul è già una pietra miliare della storia di questo pontificato e, più in generale, della storia recente del cattolicesimo. Con quei gesti e con quelle considerazioni, il vescovo di Roma ha tracciato un solco tra le distorsioni ideologiche legate a certi credi religiosi – si legga pure “estremismo islamico” – ed il corretto ruolo che invece le confessioni religiose dovrebbero svolgere nei confronti degli esseri umani tutti. Il che costituisce in fin dei conti un seguito naturale del Documento della Fratellanza umana che il Papa ha firmato con l’imam di al-Azhar, con un interlocutore diverso.

Il tenore del dialogo di Bergoglio con l’islam

Tornando a Roma, Bergoglio non si è tirato indietro: durante la classica conferenza stampa tenutasi in aereo, il vertice universale della Chiesa ha risposto anche ai punti considerati sensibili. Francesco ha affrontato in modo trasparente le critiche pervenute per il suo modo di rapportarsi con l’islam: dicono “che il papa non è coraggioso, è un incosciente che sta facendo dei passi contro la dottrina cattolica, che è a un passo dall’eresia, ci sono dei rischi. Ma queste decisioni si prendono sempre in preghiera, in dialogo, chiedendo consiglio, in riflessione. Non sono un capriccio e anche sono la linea che il Concilio ha insegnato”. Insomma, al netto delle critiche, il vescovo di Roma tira dritto. Convinto com’è che il concetto di “fratellanza” sia in grado di pacificare gli animi e le differenze di tutte le confessioni religiose disposte all’ascolto. L’udienza con l’Ayatollah sciita Ali al Sistani va interpretata a partire dal disegno complessivo che il Papa sta perseguendo. In particolare, i tradizionalisti rimproverano a Francesco di aver parificato in termini gerarchici cristianesimo ed islam.

Il prossimo viaggio

Nel corso di questi mesi, sono circolate parecchie suggestioni: dalla prima storica visita apostolica in Cina, che sta normalizzando i rapporti con il Vaticano grazie pure all’azione del cardinale Pietro Parolin, al ritorno in Argentina, passando persino per la Corea del Nord. In realtà, sembra più realistico un viaggio nella Russia ortodossa, dove Bergoglio potrebbe per un attimo spostare la lente d’ingrandimento sui rapporti tra le confessioni religiose cristiane: anche l’ecumenismo è un punto focale dell’azione del successore di Benedetto XVI. Ma il Papa, sempre mentre faceva ritorno presso le mura leonine, ha individuato nel Libano una delle prossime tappe del suo cammino pastorale: “Questa gente – ha esclamato il pontefice, secondo pure quanto riporta Lapresse – non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare, non sanno come farlo. E non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione – scandisce – è un diritto umano”. Anche la gestione dei fenomeni migratori, insomma, continuerà ad avere la centralità che le è stata assegnata in questi quasi otto anni di pontificato.

I punti fermi del futuro

Il vescovo di Roma non modificherà la sua impostazione. Il viaggio in Iraq rappresenta semmai una doppia accelerata, in termini tematici e mediatici. Bergoglio continuerà a guardare al “popolo di Dio”, con una spiccata preferenza verso le periferie economico-esistenziali. Sul piano della Santa Sede, invece, è attesa la nuova Costituzione apostolica. La Conferenza episcopale italiana, poi, è chiamata all’organizzazione di un Sinodo nazionale in grado d’incardinare il concetto di “Chiesa in uscita”. Ecologia, migranti e dialogo interreligioso accompagneranno la pastorale nel prossimo avvenire. Non ci sarà, dunque, un ripensamento. Quello che magari qualche ecclesiastico conservatore aveva auspicato dentro di sé o, senza nascondersi troppo, mediante dichiarazioni pubbliche. L’Iraq, semmai, costituisce il principio di uno scatto destinato a durare. Perché, dopo lo stallo dettato dalla pandemia, abbiamo assistito ad una visita che ha rilanciato la figura del Papa in tutto il mondo.





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