Il grande pubblico ha iniziato a prendere confidenza con i coronavirus da un anno a questa parte, cioè da quando è scoppiata la pandemia di Covid-19. Prima di allora, nonostante avessimo già imparato a fare i conti con quattro coronavirus, e per giunta da tempo immemore, soltanto gli addetti ai lavori si interessavano a un tema percepito dai più come di nicchia.
Il Sars-CoV-2 ha cambiato tutte le carte in tavola. Improvvisamente, le persone sono state invase dalla comprensibile voglia di conoscere il nuovo nemico, arrivato chissà come, chissà da dove. Milioni di ricerche su Google e innumerevoli trasmissioni televisive, senza contare gli articoli pubblicati dalle varie testate giornalistiche, avevano un unico scopo: fare luce sul coronavirus comparso ufficialmente a cavallo tra il dicembre 2019 e il gennaio 2020.
Una famiglia numerosa
Per farla breve, e senza ricorrere a concetti complicati, ci limitiamo a ricordare che il Sars-CoV-2 non è affatto il primo e unico coronavirus entrato in contatto con l’uomo. La famiglia dei coronavirus (il termine “corona” deriva dalla struttura di questi virus) è ampissima, e comprende per lo più agenti patogeni non in grado di contagiare le persone. Scendendo nel dettaglio, i coronavirus “umani” fin qui conosciuti sono sette.
Quattro di questi generano i banali raffreddori invernali, mentre gli altri tre sono nettamente più pericolosi. Il primo è il Sars-CoV, cioè la Sars apparsa nel 2002-2003, il secondo la Mers-CoV, che abbiamo conosciuto nel 2013, e l’ultimo è il Sars-CoV-2. Gli esperti sono sicurissimi: in futuro ci saranno altre pandemie, forse peggiori di quella che stiamo attualmente attraversando, e generate da altri coronavirus.
L’obiettivo degli esperti
Dal momento che l’umanità dovrà fare i conti con i coronavirus non solo nel presente ma, presumibilmente, per molti anni a venire, ecco che gli scienziati stanno ragionando, sempre con più insistenza, sulla possibilità di creare una sorta di vaccino universale contro più patogeni contemporaneamente.
Come ha raccontato il New York Times, alcuni ricercatori stanno lavorando a un vaccino capace di proteggere dal Covid-19, ma anche dalle sue varianti, da vari raffreddori stagionali e addirittura dalle prossime pandemie di coronavirus. Per non farsi cogliere impreparati di fronte al prossimo salto di specie, la scienza sta dunque pensando di bruciare le tappe.
Il vaccino del futuro
Il dottor Kayvon Modjarrad, direttore dell’Emerging Infectious Diseases Branch al Walter Reed Army Institute of Research di Silver Spring, sostiene da anni la necessità di un vaccino che possa funzionare contro tutti i coronavirus. Il signor Modjarrad sta guidando un team al Walter Reed per sviluppare un siero basato su una particolare nanoparticella tempestata di frammenti di proteine. Stiamo parlando di un involucro virale con proteine del coronavirus di Covid, Mers e Sars, che nei topi ha scatenato una promettente risposta immunitaria. Le sperimentazioni cliniche su alcuni volontari dovrebbero prendere il via a partire dal prossimo mese.
Ma per quale motivo la comunità scientifica si è svegliata soltanto adesso? Semplice: i coronavirus sono stati identificati negli anni ’60, ma non hanno mai rappresentato una priorità per le case farmaceutiche produttrici di vaccini. In un primo momento sembrava che i coronavirus fossero virus quasi innocui, capaci di sviluppare al massimo qualche brutto raffreddore. Poi, nel 2002, apparve la Sars. Si trattava di una sindrome respiratoria acuta, che provocò oltre 700 decessi.
Poteva essere la volta buona per avviare le ricerche, e in effetti molte aziende erano pronte a finanziare complessi studi. Solo che quel coronavirus sparì, da solo, nel giro di pochi mesi. Stessa sorte è capitata alla Mers tra il 2012 e il 2013. Poche vittime e scomparsa “automatica” più o meno rapida: ingannati da queste due caratteristiche, gli scienziati decisero di dedicarsi ad altre pandemie, come quella di Ebola o Zika. Il Sars-CoV-2 ha fatto aprire gli occhi a tutti.