Sin dalla scoperta dei primi casi di infezione nel Paese, la possibilità che la pandemia mettesse in ginocchio il già fragile – e vessato da lunghi anni di guerra civile – sistema sanitario dello Yemen era molto elevata. Adesso, a quasi un mese dalla scoperta dei primi contagi avvenuti tra i lavoratori portuali, gli ospedali sono già al punto di saturo e anche le strutture improvvisate per la gestione della crisi sembrano non essere in grado di reggere ancora a lungo.
Non è stato sufficiente infatti il favore del clima, oppure la scarsa densità di popolazione della regione, a scongiurare il propagarsi del patogeno, che come riportato dall’agenzia di stampa Reuters si è ormai diffuso in tutto il Paese. E come riferito dagli stessi portavoce delle Nazioni unite, in assenza di investimenti urgenti nello Yemen e senza un piano di aiuti internazionali ben strutturato la situazione rischia di sfuggire in breve tempo ulteriormente di mano, considerando le già drammatiche condizioni in cui versa la popolazione del Paese.
Il sistema sanitario si è molto indebolito
A causa dei lunghi anni di guerra civile che hanno distrutto buona parte del Paese della Penisola arabica, la maggioranza delle strutture sanitarie dello Yemen è gestita da Onlus internazionali, con le strutture gestite dalla popolazione locale che si limita spesso alla semplice assistenza dei casi meno complicati. Con il diffondersi del Covid-19 nel Paese e con le difficoltà nel reperire la più basilare dotazione medica, non soltanto il rispetto delle disposizioni dell’Oms ma la stessa assistenza dei malati è diventata quanto mai problematica. Non solo in quanto non si conoscono attualmente i dati reali dei contagi a causa dell’assenza dei necessari tamponi, ma anche perché lo stesso supporto soprattutto nelle aree più rurali è sostanzialmente impossibile.
Sono settimane infatti che l’Ong internazionale di Medici Senza Frontiere ha iniziato a richiedere a gran voce l’intervento internazionale a supporto del Paese, con i suoi appelli che fino a questo momento non avevano ottenuto una risposta unanime. Dopo l’appello da parte dell’ufficio per gli Affari umanitari delle Nazioni unite – nella persona di Jens Laerke, la speranza adesso è che qualcosa inizi a muoversi: col timore però che ormai sia troppo tardi per poter intervenire in modo invasivo.
La popolazione è (ancora) in pericolo
I lunghi anni di conflitto civile hanno contribuito ad accrescere la povertà e la malnutrizione media delle famiglie yemenite: non soltanto nei centri urbani ma anche nelle zone rurali del Paese, anche a causa di episodi di siccità che hanno contribuito alle carestie. E in questo scenario – con una popolazione debilitata ed un apparato statale distrutto – il coronavirus rischia di essere molto più letale che nelle altre aree del Mondo, che possono contare su stabilità maggiori e su una maggiore salute fisica della popolazione. Combinato quindi con le carenze del sistema sanitario, ecco che la combinazione letale rischia di essere stata già messa in campo.
Mentre negli scorsi mesi erano stati aperti corridoi aerei sanitari per aiutare le persone colpite da gravi patologie, riproporre lo stesso modello anche per i malati di Covid-19 è impossibile, almeno allo stadio attuale. Gli stessi Paesi infatti che si sono offerti di aiutare i malati generici dello Yemen – come l’Egitto – si trovano anche loro nel pieno centro della battaglia contro il patogeno, impossibilitati dunque di farsi carico anche dei malati yemeniti.
Per questo motivo e come sottolineato dall’Onu, l’unica possibilità rimane quella di potenziare le strutture locali, nonostante i limiti del progetto che allo stato attuale sembrano insormontabili. In caso contrario, San’a si dovrà preparare all’ennesima strage di innocenti, in uno scenario che il Mondo ormai si è abituato troppo spesso ad osservare, spesso nel silenzio delle comunità internazionali.