Il Covid-19, “virus acceleratore” delle dinamiche globali, è un’importante sfida globale che le società del pianeta hanno dovuto affrontare negli ultimi tre anni. Prima pandemia dell’era globalizzata, causa della morte di 6 milioni di persone dal 2020 a oggi, il Covid-19 non è stata la prima e non sarà l’ultima delle epidemie di massa che hanno caratterizzato la storia umana.
The Century of Pandemics?, diciassettesimo numero del magazine inglese di InsideOver, si chiede fin dal titolo una domanda fondamentale: siamo entrati nel “secolo delle pandemie” in cui fenomeni di questo tipo saranno sempre più frequenti?
Il magazine, disponibile completamente sulle nostre colonne, si apre con una riflessione dell’uomo che per primo ha previsto la possibilità della trasmissione da animale a uomo di un virus respiratorio potenzialmente capace di essere una fonte pandemica: il biologo David Quammen, che ci ricorda nel suo articolo come mai siamo ancora in lotta contro il Covid-19. La pandemia di Covid-19 – ricorda Quammen – è stata una lezione di velocità: ci ha permesso di studiare la velocità con cui un nuovo virus tra gli esseri umani può diffondersi, la velocità con cui può accumulare vittime e paralizzare le economie, la velocità con cui i vaccini possono essere progettati e prodotti, la velocità con cui la disinformazione può minare la salute pubblica. In mezzo a tutta quella rapidità c’è un diverso tipo di velocità, che guida il resto, come in un carosello: la velocità dell’evoluzione virale. Da cui dobbiamo prendere esempio per non farci trovare impreparati da recrudescenze pandemiche.
Lo storico David Abulafia ci ricorda poi come il Covid-19 non è stato un unicuum storico. E che la realtà è che le pandemie sono una caratteristica ricorrente, persino normale, della storia umana, vista attraverso i millenni. Molto spesso in grado di spronare miglioramenti sociali. E per Abulafia, guardando a casi come la Peste Nera, la storia parla della tendenza di ogni pandemia all’endemia: un batterio o un virus che vuole sopravvivere non può rischiare una mortalità eccezionalmente pesante per un lungo periodo. In questi casi uccide non solo le persone, ma in ultima analisi anche se stesso, poiché la presenza di molte meno persone significa che perde l’opportunità di diffondersi.
C’è nel frattempo la necessità di imparare a convivere col virus. E per l’accademico israeliano Eyal Zisser un modello può essere proprio, in tal senso, lo Stato ebraico. Con preparazione emergenziale, giusto mezzo tra controlli sanitari e attenzione alla società e all’economia, Israele ha governato con efficacia le varie ondate. La solidità dei sistemi statali, i loro punti di forza e la loro esperienza hanno aiutato la leadership israeliana a prendere decisioni efficaci. La rapida ripresa economica dalla pandemia e il ritorno alla normalità ne sono la prova. Israele – come società e come paese – è stato quindi in grado di affrontare con successo la sfida del virus del Covid-19.
Infine, Gilles Gressani, fondatore di Le Grand Continent, analizza le eredità politiche, economiche e strategiche del mondo “virato” non solo perché colpito dal Covid ma anche perché sconvolto nella governance e nelle priorità dei decisori. Tanto da portare anche i governi moderati e tecnocratici a riscoprire la sfera politica della protezione e della sicurezza nazionale. Gilles Gressani parla di “tecno-sovranismo” guardando, in tal senso, anche al passaggio di consegne italiano tra Mario Draghi e Giorgia Meloni come a un esempio di cambi di paradigmi. Un’altra delle conseguenze indirette di una corsa pandemica che ha fortemente ristrutturato le scale di priorità politiche e sociali. Come avvenuto in molti casi del passato.