A voler fare i nostalgici, la morte della regina Elisabetta II, con tutti i rigidi formalismi che ne conseguono, sembra suonare il gong su un tempo che non tornerà più. Forse perché giunge nel bel mezzo di un biennio mondiale complesso e doloroso, a pochi giorni dalla dipartita di un altro gigante del Novecento: Mikhail Gorbačëv. Nei fatti, però, la morte dell’inossidabile sovrana trascina il Regno Unito prepotentemente nel Terzo Millennio in fatto di immagine ma soprattutto di politica.
Una sovrana simbolo
Negli ultimi mesi è risultato più evidente che mai che le relazioni diplomatiche passano anche dalle relazioni personali tra potenti: poco importa che la Regina regnasse senza governare: sta di fatto che, nel giro di qualche ora, l’algida Albione si è ritrovata senza la sua storica guida e con una nuova prima ministra neofita, Lizz Truss, tra i grandi del mondo. Secondo il New York Times, la sua morte “segna sia la perdita di un venerato monarca… sia la fine di una figura che servì da collegamento vivente alle glorie della Gran Bretagna della seconda guerra mondiale, presiedendo il suo adattamento incostante all’era post- coloniale, post-imperiale e l’ha vista attraverso il suo amaro divorzio dall’Unione Europea”. Un collante, un simbolo unificante, uno strumento utile alla sindrome del rally under the flag che adesso rischia di saltare. Carlo, re anziano e fragile, esule da una vita da tabloid, non sembra essere l’immagine del polso di ferro che ci si aspetta dalla corona britannica.
I suoi figli, giovani e à la page, incarnano alla perfezione la lotta fratricida, solo in maniera più affettata e a suon di cerimoniale di corte. Nove britannici su dieci sono nati dopo l’incoronazione della regina Elisabetta e in quel mito sono cresciuti e si sono formati: anche i repubblicani più convinti, nel Regno Unito, hanno sempre guardato alla sovrana come un elegante fossile di un’era con le regine, i suoi fanti, i suoi re. Un monarca con tale polso, con un’influenza così pervasiva nelle politica interna ed estera sarà difficile che torni. E sebbene il Regno Unito sia da secoli una monarchia parlamentare, tra le più antiche del mondo, oggi sembra avviarsi verso un repubblicanesimo di fatto, dove tutte le ritualità ancestrali andranno a poco a poco scemando. Londra diventerà una monarchia in stile nordico? Chissà.
A nessuno però sfugge la coincidenza temporale con un momento critico per il Paese. Elisabetta trascorse i suoi primi anni come regina tentando di assicurarsi il punto d’appoggio simbolico della Gran Bretagna in un mondo in rapido cambiamento. Dopo la sua incoronazione, lei e Filippo intrapresero un tour di sei mesi in giro per il mondo che attraversò 13 paesi del Commonwealth delle Nazioni. Sebbene sottolineò la distanza tra quel sistema e l’imperialismo vecchio stile, il Commonwealth non ha fatto altro che riproporre in maniera elegante quei legami di interdipendenza tipici del mondo coloniale.
Oggi l’organizzazione si barcamena tra scandali, inefficienze varie e una sequela di imbarazzanti report sul rispetto dei diritti umani in loco. Più di qualche nazione del gruppo ha pensato bene di abbandonare la sudditanza verso la regina, scegliendo un proprio capo di Stato (come Barbados). Lo stesso re Carlo, all’epoca ancora solo “principe”, qualche mese fa aveva suscitato scalpore con un suo discorso nel quale affermava senza pudore che il Commonwealth fosse nato sulla prevaricazione razziale e sul razzismo coloniale.
Una famiglia litigiosa e spendacciona
Non si può nemmeno dimenticare che l’uscita di scena di “The Queen”, solleva definitivamente il velo di Maya sulla famiglia reale, come in qualsiasi famiglia borghese che perde il suo capostipite. Se il 1997 rappresentò l’anno più complicato per la famiglia reale, è dagli anni Novanta che il vaso di Pandora era ormai aperto. Nel 1997, la regina ha attirato critiche sulla stampa per la sua risposta pubblica alla morte di sua nuora, la principessa Diana. Più di due decenni dopo, il figlio di Diana, il principe Harry, e sua moglie, l’attrice americana Meghan Markle, hanno descritto come una cultura del razzismo nella famiglia reale abbia portato alla loro eventuale partenza dall'”azienda reale” in un’intervista con Oprah Winfrey. Le vicende del figlio Andrea, collegato al caso giudiziario di Jeffrey Epstein, e la soluzione extragiudiziale con la quale ne è venuto fuori, hanno fatto il resto. A Buckingham Palace volano gli stracci da tempo e c’è ragione di pensare che nessun’altra virago potrà nascere con simili doti: la monarchia inglese ha davvero fatto il suo tempo.
Tra l’altro, in un periodo di crisi economica, sempre più britannici virano verso la disaffezione verso la casa reale per un senso di fastidio e anacronismo nei confronti dalla royal family spendacciona. I contribuenti del Regno Unito pagheranno ulteriori 27,3 milioni di sterline nei prossimi due anni per colmare una lacuna finanziaria volta a coprire un calo dei profitti presso la Crown Estate, che aiuta a pagare le loro spese. Se Boris Johnson era giunto a Downing Street con la promessa di pompare l’economia britannica, anche e soprattutto attraverso la Brexit, tre anni, una pandemia e una guerra in Ucraina dopo, il premier ha lasciato Londra sull’orlo della recessione. Il costo della vita sta accelerando al tasso annuo più rapido degli ultimi quarant’anni.
Cade il “mito inglese”
La radiografia del Regno Unito non restituisce un quadro di salute ottimale. L’isola non è più un luogo appetibile per le giovani generazioni europee, che non ci stanno ad esibire il passaporto per studiare e lavorare in un luogo che hanno sempre considerato il cortile di casa europeo. E in patria, quasi la metà dei giovani tra i 18 e i 24 anni chiede la Repubblica e un capo di Stato eletto. A dover loro delle risposte, la politica britannica, che vede da anni i due principali partiti in crisi e che ci sta abituando a continui cambi della guardia a Downing Street. Qualcuno ha parlato di una “summer of misery” per il Paese, alle prese con il suo amato servizio sanitario in tilt, l’inflazione alle stelle, gli scioperi che fermano i treni. Nel frattempo, il governo non si vede da nessuna parte. Tantomeno una vera leadership.
Nel Regno dis-Unito, le spinte indipendentiste si fanno sempre più virulente e minacciano costantemente lo status-quo: a poco servirà il viaggio del neo-orfano re Carlo III per presentarsi ai suoi sudditi, soprattutto in Scozia, l’angolo più europeo del suo regno.
London bridge is down? Ancora no, ma di certo è più traballante che mai.