Agli angoli delle strade, nei pressi degli incroci più trafficati, nel cuore delle megalopoli. Fuori dagli edifici istituzionali e ai lati degli ingressi nelle aree residenziali. E ancora: all’interno dei centri commerciali, sui treni e nei vagoni della metropolitana. Ormai non esiste luogo che, in nome di una maggiore sicurezza, non sia monitorato, 24 ore su 24, sette giorni su sette, dalle telecamere di videosorveglianza.
Avere un quadro aggiornato, in tempo reale, sul numero effettivo di questi strumenti è pressoché impossibile. Esistono numerose fonti, anche se l’autorevole IHS Markit, nel 2019, stimava che ci sarebbero stati circa 1 miliardo di occhi elettronici in tutto il pianeta entro la fine del 2021.
A differenza di quanto si possa pensare, non sono soltanto i governi non democratici ad aver implementato un capillare controllo sulle rispettive popolazioni affidandosi proprio ai suddetti sistemi a circuito chiuso. Tutti – chi più e chi meno – stanno investendo ingenti risorse nel tentativo di rendere le città più sicure e debellare la microcriminalità, talvolta attirando aspre critiche per un modus operandi che andrebbe a ledere la privacy dei cittadini.
Per avere una visione d’insieme è utile consultare l’ultimo rapporto realizzato da Comparitech, che ha passato in rassegna le prime dieci città al mondo per numero di telecamere di sorveglianza attive. Tralasciando la Cina, le cui città si trovano sotto la sorveglianza CCTV più pesante del pianeta (il 54% delle telecamere mondiali si troverebbe oltre la Muraglia, per un totale di 540milioni di unità con una popolazione di 1,46 miliardi di persone, e dunque 372,8 telecamere per 1.000 persone), ai primi posti spicca la presenza di quattro centri indiani, a conferma di come, a livello globale, anche le democrazie sono sottoposte ad una quantità crescente di sorveglianza e di conseguenti preoccupazioni.
I ricercatori di Comparitech hanno raccolto una serie di dati e rapporti, inclusi rapporti governativi, siti Web della polizia e articoli di notizie, per avere un’idea del numero di telecamere a circuito chiuso in uso in 150 grandi città in tutto il mondo. Ebbene, Indore, Hyderabad, Delhi, Chennai, Singapore, Mosca, Baghdad, Londra, San Pietroburgo e Los Angeles sono le prime dieci città più sorvegliate al di fuori della Cina, in base al numero di telecamere per 1.000 persone.
Delhi, Chennai, Singapore, Seoul, Mosca, Londra, New York, Hyderabad, Mumbai e Città del Messico sono invece le prime dieci città più sorvegliate al di fuori della Cina, in base questa volta al numero di telecamere per miglio quadrato. L’aspetto più interessante, almeno stando al report di Comparitech, è che è stata trovata poca correlazione tra il numero di telecamere a circuito chiuso pubbliche e il crimine o la sicurezza.
Le città più (video)sorvegliate del mondo
Spicca, come detto, il caso dell’India. Indore, con 200.600 telecamere per 3.208.722 persone (62,52 telecamere per 1.000 persone) è la città più sorvegliata al mondo ad esclusione dei centri cinesi. Seguono, sempre in India, Hyderabad, con 440.299 telecamere per 10.534.418 persone (41,8 telecamere per 1.000 persone), Delhi, 436.600 per 16.349.831 persone (26,7 telecamere per 1.000 persone) e Chennai, 282.126 per 11.503.293 persone (24,53 telecamere per 1.000 persone).
Restando in Asia, troviamo quindi Singapore, con 108.981 telecamere per 6.039.577 persone (18,04 telecamere per 1.000 persone). Mosca, capitale della Russia, conta invece 213.000 telecamere per 12.640.818 persone (16,85 telecamere per 1.000 persone). Troviamo poi Baghdad, in Iraq, con 120.000 telecamere per 7.511.920 persone (15,97 telecamere per 1.000 persone).
In Occidente, riflettori puntati su Londra, Regno Unito, con 127.373 telecamere per 9.540.576 persone (13,35 telecamere per 1.000 persone), San Pietroburgo, Russia, con 70.000 telecamere per 5.535.556 persone (12,65 telecamere per 1.000 persone) e Los Angeles, Stati Uniti, con 34.959 telecamere per 3.985.520 persone (8,77 telecamere per 1.000 persone).
Tra privacy e sicurezza
Le telecamere a circuito chiuso servono a molti scopi, che vanno dalla prevenzione della criminalità al monitoraggio del traffico fino all’osservazione delle operazioni industriali in ambienti non adatti all’uomo. L’adozione della tecnologia di riconoscimento facciale consente inoltre a soggetti pubblici e privati di verificare istantaneamente l’identità di chiunque passi davanti a una telecamera.
Prendiamo la Cina. L’ampio uso da parte della Repubblica Popolare Cinese di fotocamere e tecnologia di riconoscimento facciale è stato ampiamente documentato dai media. Tutto questo rende possibile il programma di credito sociale del Paese , che offre alle autorità locali una quantità senza precedenti di controllo sui propri cittadini.
Giusto per fare un esempio, le reti di telecamere cinesi possono essere impiegate per verificare i prelievi bancomat,consentire l’accesso nelle case e persino far vergognare pubblicamente le persone per reati minori come il jaywalking. Siamo di fronte ad un incubo distopico, alla realizzazione di un inferno orwelliano? Probabilmente per la maggior parte degli occidentali la risposta sarà affermativa. Ma, a quanto pare, dipende dai punti di vista. In un sondaggio del 2018 su 2.209 cittadini, l’ 80% degli intervistati ha approvato i sistemi di credito sociale.
Per quanto riguarda la situazione cinese, il New York Times ha scritto che l’obiettivo del governo cinese è chiaro: “Progettare un sistema per massimizzare ciò che lo Stato può scoprire sull’identità, le attività e le connessioni sociali di una persona, e che potrebbe in definitiva aiutare il governo a mantenere il suo governo autoritario”.
Lo stesso quotidiano statunitense ha sottolineato che le telecamere forniscono una mole impressionanti di dati a un potente software analitico. Tutti questi dati vengono quindi aggregati e archiviati su server governativi. Dal canto suo la Cina ha al contrario più volte parlato dell’importanza di garantire la sicurezza e tutelare la vita dei cittadini, respingendo ogni accusa.
Il problema principale con le telecamere di videosorveglianza, in ogni caso, riguarderà in maniera più evidente i governi democratici. Ovvero, quei Paesi all’interno dei quali l’equilibrio tra il diritto alla privacy e la sicurezza è molto più marcato. E dove ogni minimo sussulto verso uno dei due estremi è in grado di generare conseguenze socio-politiche inaspettate.