Reiwa, ovvero “ordine ed armonia”: questo è il nome scelto dal principe ereditario giapponese Naruhito per l’era che designerà la sua era imperiale, destinata a prendere il via il prossimo primo maggio dopo l’abdicazione del padre Akihito. La scelta del nome, annunciata dal primo ministro Shinzo Abe nella prima giornata di aprile, ha fatto entrare nel vivo un processo di transizione in cui il Giappone si vede allo specchio: storia, presente e futuro del Paese si sostanziano nello storico atto di abdicazione di Akihito, primo imperatore a lasciare la carica dopo oltre due secoli.
E l’abdicazione che aprirà a Naruhito la strada verso il Trono del Crisantemo avverrà in una fase fondamentale per determinare il futuro sviluppo del Paese e dell’autorità imperiale: Akihito, nato nel 1933, inaugurando nel 1989 l’era Heisei (“conseguimento della pace”) dopo la morte del padre Hirohito, è stato il primo imperatore ad ascendere al trono privo, in seguito al vincolo legale imposto dal governo statunitense a Tokyo dopo la Seconda Guerra Mondiale, delle prerogative divine di successore di Amaterasu che la tradizione e lo sviluppo istituzionale del Giappone avevano assegnato al suo sovrano. Prerogative a cui Hirohito nel 1945 aveva dovuto de facto rinunciare nel discorso radiofonico in cui, per la prima volta, fece udire la sua voce al popolo nipponico annunciando l’imminente resa e la fine del conflitto, prima di perderle de jure in seguito alla promulgazione della Costituzione postbellica.

Naruhito, nato nel 1960, sarà il primo imperatore venuto al mondo nel Giappone postbellico, ma dovrà gestire nel corso del suo regno lo sviluppo della svolta politica a cui le istituzioni nipponiche sono, da tempo, dedite e che proprio sulla figura della sua carica si dividono fortemente.
Akihito, un imperatore molto amato
Il recupero di prestigio della figura imperiale è, in larga misura, dovuta alla integerrima gestione della carica da parte dell’anziano Akihito nel corso del suo trentennio di regno. Akihito ha interpretato il ruolo di guardiano della Costituzione postbellica, pacifista e modernizzante, senza venire meno al rispetto dell’austero e rigido protocollo che connota la figura imperiale né trasformarsi in una personalità mondana o, ancora peggio, glamour, conquistando così il rispetto delle forti lobby conservatrici e tradizionaliste.
Come sottolinea Il Foglio Akihito “dall’ombra in cui era caduta la Casa imperiale durante il periodo della stagnazione economica, è riuscito a trasformare l’impero in un simbolo di pacifismo, mostrando e insegnando rispetto per le istituzioni, per i suoi cittadini – non più sudditi – grazie a una voce autorevole e confortante”.
La sintonia con la popolazione è stata costruita grazie alla capacità dell’imperatore di provare empatia verso il suo popolo e di venire a contatto col suo sentire più profondo grazie ai viaggi – frequentissimi fino all’ultimo – in giro per il Giappone compiuti assieme alla moglie Michiko, e le visite nei luoghi colpiti dalle catastrofi naturali: “Pochi giorni dopo l’Apocalisse del terremoto e del maremoto del Tohoku, nel 2011, la coppia imperiale era lì, a parlare con gli sfollati e a consolarli. (…) Un attivismo che mai si era visto prima. Akihito ogni anno pianta il riso, il cibo più sacro per la tradizione nipponica, con le sue mani, e non esistono di lui selfie, perché a nessuno è concesso di avvicinarsi”.
L’abdicazione di Akihito
In questo contesto, la rinuncia alla carica da parte di Akihito ne sublima la grandezza. L’imperatore compie un gesto inaudito e, costituzionalmente, problematico, tanto che nel codice politico giapponese la questione di una transizione di questo tipo non era nemmeno presa in considerazione. “Può un dio abdicare?”, è la domanda profonda che anima la vox populi nipponica, a cui nemmeno Truman e il Generale MacArthur hanno potuto far cambiare idea sulla figura del sovrano?
Ma la forza del gesto è, soprattutto, nella presa di consapevolezza che restituire la sua dimensione umana a una carica pensata come “divina” non è un atto di codardia ma, al contrario, una coraggiosa ammissione della necessità di una persona nel pieno delle sue forze perché essa sia amministrata nel migliore dei modi. Pertanto, ha scritto Limes, “ci sono persone che hanno considerato la dichiarazione dell’imperatore come una seconda dichiarazione d’umanità dopo quella del suo predecessore. (…) L’umanità dimostrata dall’imperatore è un fatto rivoluzionario per la tradizione del Paese”.
Del resto, di certe cariche si può abbandonare l’amministrazione concreta, ma non la titolarità. Akihito resterà, in ogni caso, imperatore anche dopo la sua abdicazione. La forza morale della sua persona resterà intatta, e questo a noi occidentali ricorda un recente gesto che, per coraggio e forza simbolica, è equiparabile alla scelta di Akihito: la decisione di Benedetto XVI di rinunciare al soglio pontificio nel febbraio 2013.
Naruhito arriva al trono in piena “era Abe”
Naruhito ascenderà al Trono del Crisantemo carico della responsabilità di dare continuità all’azione unificatrice di Akihito in una fase storica che vede la politica nipponica cambiare a tutta velocità.
A partire d al suo ritorno al potere nel dicembre 2012 il primo ministro giapponese Shinzo Abeha letteralmente rivoluzionato il Paese, rilanciandone l’economia con un’ambiziosa politica espansiva (Abenomics), predisponendo misure per ristrutturare il mercato del lavoro interno e prevenire l’inesorabile declino demografico della sua nazione e rilanciando le ambizioni della geopolitica nipponica dopo sette decenni in cui Tokyo si è consolidata come gigante economico planetario senza poter sviluppare una propria strategia autonoma.
A quest’ultima mancanza Abe punta a porre rimedio attraverso una revisione del vincolo pacifista della Costituzione giapponese, premessa per lo sviluppo di una strategia asiatica di ampio respiro e su una nuova militarizzazione delle forze armate di cui dispone Paese, a cui il suo Partito liberaldemocratico lavora avendo cura, al tempo stesso, di rafforzare il legame con la tradizione.
La sfida di Naruhito
La successione al trono si compirà in un momento di forte rafforzamento della Nippon Kaigi, la società conservatrice che preme per il rilancio dello “scintoismo di Stato” di cui fa parte anche lo stesso Abe e preme fortemente per la riforma costituzionale. La Nippon Kaigi, come segnala Nello Puorto su Limes, “si batte per il riconoscimento di un ruolo più centrale dell’istituzione imperiale, per un’istruzione patriottica” e per “garantire ai politici la possibilità di effettuare visite ufficiali al santuario di Yasukuni”, ove sono seppelliti i caduti giapponesi della seconda guerra mondiale e i gerarchi della giunta militare e i leader delle forze armate processati e giustiziati nei Processi di Tokyo.
Nel nome stesso scelto per definire l’era di Naruhito, Reiwa, c’è un fine richiamo all’armonizzazione del popolo e alla sua unità dietro la figura dell’imperatore. Reiwa, sottolinea Il Sole 24 Ore, “rinvia a un’unione del sentimento del popolo in una bellezza di buon auspicio per sviluppare la civiltà: il passaggio poetico da cui la denominazione è tratta si riferisce alla contemplazione dei fiori di prugno appena sbocciati, simbolo di una transizione positiva dopo i rigori dell’inverno”.
Naruhito dovrà essere in grado di armonizzare le pulsioni provenienti dal governo con la necessità di dare continuità all’azione politica del suo predecessore e di mantenere conciliate le due nature della sua figura, ovvero l’austero distacco retaggio della “divinità” dell’imperatore e l’animata vicinanza al popolo che ha fatto le fortune di Akihito. Nella sua figura si toccano una storia millenaria e un futuro che, per il Paese del Sol Levante, è ancora incerto. Compito della sua era sarà il mantenimento di ordine e armonia. In una misura, però, che sia beneficio dell’intero popolo giapponese e non solo di determinati interessi di parte.