Il Giappone avrà un ministero per il contrasto agli effetti sociali della solitudine. Yoshihide Suga, il primo ministro nipponico succeduto a Shinzo Abe, ha recentemente promosso la creazione del “ministero per il coinvolgimento dinamico della popolazione”, già mediaticamente definito “Ministero per la solitudine”, affidato al 61enne esponente del Partito Liberaldemocratico Tetushi Sakamoto.
Perché creare un’istituzione di questo tipo? Il tema della solitudine e dell’isolamento sociale è divenuto da tempo una questione di rilevanza politica in Giappone, e l’impatto psicologico della pandemia di Covid-19 non ha fatto altro che rafforzarne la rilevanza. Nel Paese del Sol Levante le statistiche del 2019 segnalavano che il numero di soggetti anziani di almeno 65 anni ha da tempo toccato un record storico: 35,15 milioni, ossia il 27,7% di tutta la popolazione, quasi un quinto dei quali (6,5 milioni) vive in condizioni di isolamento dal resto della famiglia o in completa solitudine. Con conseguenze a cascata sull’accessibilità ai servizi pubblici, alle cure personali, al welfare.
A ciò si aggiunge un’impennata di tensioni sociali tra la popolazione in età lavorativa legata al protrarsi delle misure di distanziamento sociale, al contrasto alla pandemia e agli impatti psicologici generati sulla disciplinata e ordinata società giapponese. Che non riguarda gli “isolati per scelta”, ovvero i celebri hikikomori che, come InsideOver ha avuto modo di approfondire, spesso riescono addirittura ad avere dal calo del flusso di persone per le strade uno stimolo al ritorno a una vita più attiva. Parliamo di persone di età non anziana, molto spesso donne, che per la combinazione dei ritmi serrati di lavoro della società giapponese e del mutato contesto legato alla pandemia hanno subito forti ripercussioni sulla psiche. Un fattore su cui l’impossibilità di costruire rapporti sociali attivi e fattori strutturali come la tendenza all’invecchiamento e alla stanchezza della popolazione incidono con ulteriore forza.
La cartina di tornasole più drammatica di questo scenario è l’impennata del tasso di suicidi conosciuta dal Giappone nel 2020. Il tasso di suicidi è cresciuto per la prima volta in undici anni, salendo di 750 unità fino a quota 20.919, quasi il triplo dei morti accertati per Covid-19 nel Paese. Un dato drammatico citato da Suga come una delle motivazioni che lo hanno convinto a affidare l’incarico del nuovo ministero a Sakamoto in una conferenza stampa del 12 febbraio scorso. Il tema dei suicidi per disperazione aveva già interessato un altro gigante asiatico, l’India, ma in un Paese dalla demografia in declino e dalle particolari condizioni strutturali come il Giappone risulta particolarmente allarmante.
Il ministero per la Solitudine dovrà, in un certo senso, ampliare i progetti che Abe ha già portato avanti in termini di diritto del lavoro per cominciare a permettere ai cittadini nipponici di potersi riappropriare del proprio tempo: Abe si era accorto del disagio sociale crescente legato all’isolamento graduale cui i giapponesi si stavano condannando e aveva promosso riforme per limitare il superlavoro, ridurre trend che portavano le aziende a chiedere anche 80 ore di lavoro settimanali ai dipendenti e obbligare i lavoratori a prendere giorni di riposo e ferie. Ma nessun risultato positivo si potrà vedere in questo ambito senza una rivoluzione copernicana sul fronte complementare, quello dell’assistenza sociale alle persone che soffrono materialmente delle conseguenze di solitudine e a quelle che manifestano sintomi di ansia o di forte stress psicologico. Un progetto nazionale paragonabile, come ricorda Il Foglio, alla campagna pedagogica per permettere alle vittime dirette e indirette della catastrofe di Fukushima, nel 2011, di subire i traumi psicologici legati al ricordo del disastro.
Tokyo non è la prima capitale a prendere una decisione del genere. “Per un numero troppo grande di persone la solitudine è una triste realtà della vita di oggi. Vorrei che tutti noi ci impegnassimo per difendere chi è solo e prendessimo provvedimenti per contrastare la solitudine degli anziani”, dichiarò nel 2017 l’allora primo ministro britannico Theresa May annunciando che nel 2018 avrebbe nominato un sottosegretario per la definizione della risposta politica alle conseguenze della solitudine, temi cari all’onorevole laburista Jo Cox, assassinata a pochi giorni dal referendum sulla Brexit nel 2016, e portati avanti dal gruppo di lavoro guidato dalla conservatrice Tracey Crouch, che ha prodotto un ampio studio sulle conseguenze dell’isolamento delle persone a ogni età e proposto misure di welfare per alleviarle.
Questi temi sono destinati in futuro a diventare sempre più endemici nelle società occidentali ad alto tasso di sviluppo. Società che dall’era presente hanno ereditato un avanzamento della quantità di disturbi psicologici tra i loro cittadini e che, per le mutate dinamiche sulla famiglia, i ritmi di lavoro e le scelte di vita, vedranno in ogni Paese milioni di abitanti invecchiare soli, in provincia come nelle metropoli che cercano un nuovo ruolo dopo la pandemia. Il Giappone, come in altri ambiti, è un laboratorio di ciò che aspetta l’Occidente in futuro: e questi impatti saranno ancora più salienti in quei Paesi in cui la pandemia lascerà in eredità un peso emotivo molto maggiore di quello giapponese legato al prolungamento delle misure di contenimento del contagio fondate sul distanziamento fisico e l’isolamento sociale.