Il Cile è il leader indiscusso dell’America Latina per la corsa alle vaccinazioni. Un milione di persone vaccinate alla settimana dal 3 febbraio in avanti, una copertura del 15% della popolazione che pone il Paese tra i migliori cinque al mondo (assieme a Usa, Regno Unito, Emirati Arabi e Israele), un ruoli no di marcia senza pari nel continente segnano una strategia di successo. Le motivazioni sono da ricercarsi in una compenetrazione tra Stato, privati e organizzazioni sociali e caritatevoli nella campagna vaccinale, nella comprensione da parte di Santiago delle potenziali implicazioni “geopolitiche” della corsa al vaccino e nell’attestazione del fatto che il miglior modo per rimediare a danni e disastri causati dalla pandemia a livello sociale, economico e politico fosse un’accelerazione massiccia della campagna di immunizzazione.

Secondo Jp Morgan il Cile sarà il primo Paese della regione a toccare l’immunità di gregge, e questo permetterà un’accelerazione della ripresa della vita economica e sociale del Paese che fornirà al governo liberal-conservatore di Sebastian Pinera fiato e margini per rimediare alle problematiche sociali emerse negli scorsi mesi prima della votazione sul referendum per la riscrittura della costituzione.

Il governo cileno, sul fronte dei vaccini, è stato lungimirante e, come ricorda Il Foglio, ha saputo sfruttare “la vocazione al libero mercato, il fatto di poter contare su una miriade di accordi commerciali con tutto il mondo” che “ha permesso di iniziare subito le trattative con multinazionali e Paesi produttori in una posizione di partner storico e affidabile”, a cui Santiago ha aggiunto uno strategico inserimento nei test clinici per le diverse fasi del vaccino che hanno dato al Paese una posizione prioritaria nelle forniture. Il Cile ha così potuto avere accesso a quattro vaccini: AstraZeneca, di origine anglo-svedese; gli statunitensi Pfizer e Johnson&Johnson; il cinese Sinovac.

Un importante funzionario del governo cileno, il viceministro del Commercio Rodrigo Yañez, ha dichiarato al Miami Herald che la presenza di consolidati rapporti con istituzioni e partner del resto del mondo ha permesso al Cile di attivare i contatti fin dai primi giorni dopo lo scoppio del Covid-19. Santiago ha valorizzato la sua centralità negli scambi internazionali, forte di 29 accordi di libero scambio inclusi quelli con l’Ue e la Cina, e compreso la natura “geopolitica” della corsa al vaccino, non disdegnando di ordinare dosi e sieri anche da Paesi tra loro concorrenti.

Il motto è stato “crepi l’avarizia”: il governo cileno, al 15 febbraio, aveva ordinato 88,4 milioni di dosi, una quantità tale da permettere la completa vaccinazione della popolazione per ben due volte, e non ha mai fatto mancare il suo sostegno ai programmi dell’Oms come Covax per aiutare l’accesso ai vaccini delle nazioni più in difficoltà, per le quali Santiago sarà prossima a diventare un punto di riferimento. Tra i registi della campagna vaccinale si è distinta una giovane e preparata dottoressa, Izkia Siches, presidente dell’associazione nazionale Colegio Médico e membro del team nazionale di risposta alla pandemia. La Siches, 34 anni, ha spiegato ad Americas Quarterly che una delle motivazioni che hanno spinto il governo alla diversificazione è l’eterogeneità morfologica del Paese: in questo contesto, risulta molto più fattibile distribuire nelle città il vaccino Pfizer (che richiede una catena del freddo complessa) e utilizzare il Sinovac per raggiungere le aree più remote del Paese, come la Terra del Fuoco e l’Isola di Pasqua.

La cooperazione tra il governo, i centri di ricerca pubblici e privati che hanno contribuito a dare alle aziende e ai governi partner dati chiave per la ricerca sui vaccini e l’associazionismo ha prodotto risultati eccellenti. Non si può non dimenticare, in questo contesto, il ruolo della Chiesa: ad esempio l’Università Cattolica di Santiago, percorrendo idealmente le rotte della geopolitica pontificia, ha fatto da sponda per l’apertura a Sinovac; un suo team, guidato dal dottor Alexis Kalergis, direttore del Millennium Institute of Immunology and Immunotherapy (IMII) collabora con la ricerca pubblica e privata sulle proteine spike più efficaci per i vaccini in via di sviluppo; chiese, parrocchie e centri diocesani sono stati messi a disposizione come punti di riferimento per la campagna vaccinale dalla Conferenza episcopale cilena, che ha definito la mossa un atto di amore verso il prossimo e una “responsabilità morale”. Nella diocesi di Osorno, addirittura, i vaccini si svolgono nella cattedrale per espressa volontà del vescovo, monsignor Jorge Concha.

Cinque milioni di vaccinazioni entro fine marzo e l’80% di copertura nazionale entro la fine di giugno sono gli obiettivi che il Cile si è dato per concludere in tempi stretti la battaglia dell’immunizzazione. Che sta diventando un volano per una ritrovata coesione nazionale, dopo anni di duri scontri di piazza, proteste, tensioni sociali. Santiago risulta un caso di successo nel continente che, assieme all’Europa, ha maggiormente sofferto la pandemia. E la cui ripresa dipenderà, chiaramente, dalla rapidità della strategia di immunizzazione. Su cui ben pochi Paesi possono dire di avvicinarsi anche solo lontanamente al Cile.





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