Alcuni tra i più importanti esperti al mondo hanno ipotizzato l’effettiva comparsa di un vaccino anti Covid nel corso del 2021, con la conseguente uscita dall’incubo nel giro di un anno. È impossibile prevedere una data esatta, anche se la ricerca di un antidoto capace di debellare il Sars-CoV-2 procede a ritmi serrati e molti vaccini sono entrati nella fase finale della sperimentazione sull’uomo.

A detta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in tutto il mondo si starebbero testando la bellezza di quasi 180 vaccini. Donald Trump spera di avere tra le mani la panacea del secolo entro le prossime elezioni presidenziali in programma il 3 novembre. La Cina ha accelerato e spera di sfornare il vaccino prima degli americani, così da ricevere una clamorosa spinta mediatica (e non solo).

La Russia è addirittura stata la prima nazione al mondo a uscire allo scoperto, annunciando la scoperta di Sptunik V. Stiamo parlando di un prodotto che, secondo quanto scritto da Lancet, avrebbe generato una risposta immunitaria positiva ai partecipanti che hanno preso parte alle fasi uno e due della sperimentazione e indotto le cellule T a reagire senza provocare contraccolpi significativi. In mezzo troviamo il vaccino mRNA-1273 dell’azienda americana Moderna, il BNT162 della società tedesca bioNTech, in collaborazione con Pfizer e, tra gli altri, l’AZD1222, della società anglo-svedese AstraZeneca assieme all’Università di Oxford.

I cinque tipi di vaccini

Detto dei principali antidoti in corsa, è importante sottolineare che ogni potenziale candidato si basa su tecnologie differenti. Come sottolineato da The Conversation, possiamo distinguere cinque tipi di vaccini. I primi sono i vaccini a dna-rna, i quali usano frammenti di materiale genetico prodotto in laboratorio. I citati frammenti codificano una parte del coronavirus, come ad esempio la proteina spike, quella usata dall’agente patogeno per infettare le cellule e riprodursi all’interno di un organismo. Detto altrimenti, a vaccino assunto, il corpo di un essere umano “segue” le istruzioni del dna-rna per effettuare copie della parte del virus codificata, riconoscerla e attivare una risposta immunitaria.

Troviamo poi i vaccini che utilizzano un altro virus, indebolito e non capace di causare la malattia, al fine di diffondere un antigene virale nel corpo. In altre parole, in questo modo vengono impiegati virus come vettori per scatenare una risposta immunitaria. I vaccini inattivati contengono invece virus trattati con calore, sostanze chimiche o radiazioni, in modo che questi patogeni possano innescare la risposta immunitaria ma non siano in grado di replicarsi. Arriviamo così ai vaccini vivi attenuati, che contengono il virus indebolito in laboratorio; il virus è vivo ma non può causare malattie. Infine i vaccini a subunità sono formati da parti purificate del virus (antigeni) che attivano l’immunoreazione.

Pro e contro

Ciascun metodo descritto presenta vantaggi e svantaggi. I vaccini a dna-rna, come quello di Moderna, hanno costi di produzione limitati e possono essere progettati rapidamente, sulla base del solo sequenziamento genetico. Tuttavia non esistono ancora vaccini di questo tipo approvati per uso medico nell’uomo e, poiché consentono solo la produzione di un frammento del virus, possono provocare una scarsa risposta immunitaria protettiva. Tradotto: potrebbero essere necessari dei ripetitori.

I vettori virali (il candidato di Oxford-AstraZeneca) garantiscono una diffusione specifica di antigeni e potrebbero essere efficaci in una sola soluzione. Ci sono però da mettere in conto alcuni contro: i costi sono elevati e alcune persone potrebbero essere immuni al vettore virale. I vaccini inattivati si basano su tecnologie considerate sicure e si possono somministrare a chiunque, anche se, per via di una bassa immunogenicità, richiedono richiami. Un esempio è il candidato della cinese Sinovac Biotech.

I vaccini vivi attenuati si affidano a una produzione su vasta scala da costi limitati e a una forte copertura. In casi rari possono causare la malattia e vanno somministrati con prudenza, soprattutto su chi ha il sistema immunitario indebolito. I vaccini a subunità possono essere somministrati anche ai soggetti più vulnerabili ma gli antigeni che stimolano la risposta immunitaria necessitano di essere ancora studiati a fondo. Sarà anche in base ai pro e i contro che la ricerca scientifica muoverà i suoi prossimi passi.





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