Da Wuhan a Mudanjiang, in un percorso lungo oltre 2500 chilometri che attraversa gran parte della Cina orientale. È proprio qui, nella provincia dello Heilongjiang, estremo nord-est del Paese, che il coronavirus Sars-Cov-2 ha costretto le autorità a prendere nuove misure draconiane.
La città-prefettura di Mudanijiang, 2,8 milioni di abitanti, è soltanto l’ultimo dei centri urbani della zona a essere stato sottoposto a lockdown, dopo Harbin, Shulan e Jilin, città che prende il nome dall’omonima provincia. Il Dragone era stato avvisato: una seconda ondata di Covid-19 sarebbe potuta tornare da un momento all’altro. Non a caso il dottor Zhong Nanshan, il medico che scoprì la Sars nel 2003, oggi principale consulente del governo cinese, aveva espresso tutti i suoi timori nel corso di un’intervista rilasciata alla Cnn.
Già, perché nuovi cluster di casi di coronavirus sono emersi nei pressi del confine tra Russia e Cina. Il problema più grande è che l’origine del contagio dell’ultimo focolaio di Mudanjiang è al momento sconosciuta. Certo, i casi accertati di positività, fin qui, sono appena 11. Ma, senza sapere l’epicentro dell’infezione, le autorità hanno le mani legate. Secondo quanto riportato dal Daily Mail tutti i casi sarebbero comunque riferibili a un’unica fonte di contagio. Quale? Non c’è ancora una risposta, anche se alcuni puntano il dito contro alcune aziende chimiche situate proprio nella nuova “zona rossa”.
I laboratori di Wuhan
Il focolaio originario di Wuhan, e quelli più recenti riscontrati nei centri nord-orientali della Cina, potrebbero essere accomunati dalla presenza in loco di laboratori e aziende chimiche. Cerchiamo di analizzare nel dettaglio questo possibile filo rosso, pur tenendo presente che, al momento, non ci sono certezze e possono essere fatte soltanto soltanto ipotesi.
A Wuhan ci sono due centri potenzialmente collegabili a un errore umano. Il primo è il Chinese Center for Disease Control and Prevention (Whcdc), situato a circa 300 metri dal Mercato ittico di Huanan, presunto ground zero della pandemia. A febbraio due ricercatori cinesi, Botao Xiao e Lei Xiao, hanno pubblicato su ResearchGate un articolo in cui ipotizzavano la fuoriuscita del coronavirus dal centro citato. Dentro quelle mura – hanno scritto gli scienziati nel paper, ora rimosso dal sito ma ancora consultabile sulla rete – si stavano effettuando studi su centinaia e centinaia di pipistrelli provenienti dallo Zhejiang.
Da questi animali venivano prelevati campioni di tessuti per analizzarne Dna, Rna e sequenze genetiche varie. I materiali di scarto di ricerche simili, facevano notare Botao e Lei, erano a tutti gli effetti “fonti di agenti patogeni”. Collegando la vicinanza del Whcdc con lo Union Hospital, dove sono stati rilevati i primi malati, “è plausibile che il virus sia entrato in circolazione e che alcuni medici abbiano infettato i primi pazienti”. Un incidente all’interno del centro? Probabile. Del resto non sarebbe certo stata la prima volta, visto che in passato, in almeno due casi, si sono registrati incidenti durante le analisi svolte all’interno dell’edificio.
L’altro istituto è il National Biosafety Laboratory, situato a circa 16 chilometri dal mercato ittico di Huanan. Nel National si studiano i coronavirus, ma i vertici del laboratorio hanno categoricamente smentito che il Covid-19 possa essere uscito da qui per errore per una serie di ragioni. Eppure c’è chi giura che le misure di sicurezza dell’istituto non fossero all’altezza della situazione.
L’azienda farmaceutica di Jilin e il confine russo
Veniamo al nord-est della Cina. A Jilin, una delle due provincie in cui sono recentemente scattate le misure di sicurezza, sorge la Jilin Shulan Synthetic Pharmaceutical, un vero e proprio leader mondiale nella produzione di componenti farmaceutici e caffeina per bevande.
È la stessa azienda a definirsi come una “qualificata fornitrice dei più importanti produttori di prodotti farmaceutici e bevande nel mondo”. Le attività della Jilin Synthetic non hanno niente a che vedere con il coronavirus, ma è possibile che l’azienda possa essere stata l’incubatrice della nuova ondata di Covid-19.
Considerando il giro d’affari dell’impresa in questione, non è da escludere che un possibile lavoratore infetto possa aver diffuso il virus nell’intera provincia. L’altra ipotesi sull’origine dei nuovi focolai è da ricollegare alla vicinanza dello Heilongjiang e dello Jilin al confine con la Russia, un Paese in cui l’epidemia sta galoppando a ritmi elevati. In ogni caso nella zona nord-orientale del Paese ci sono circa 25 milioni di abitanti isolati. E adesso la Cina trema per una possibile nuova ondata.