Non si ferma la caccia alle streghe degli alfieri del politicamente corretto, che ha ripreso vigore dopo che le proteste seguite negli Usa alla morte di George Floyd sono state deviate dai loro fini sociali e egemonizzate da movimenti in cui prosperano i fautori della cancel culture e delle culture war contro tutte le figure storiche che possono anche solo essere sospettate di non aderire ai canoni del progressismo contemporaneo. La fattispecie più preoccupante è constatare la presenza di un ampio movimento mediatico e d’opinione dietro questa marea montante di proteste. L’ultimo a finire nel tritacarne è stato Voltaire. Il grande filosofo francese del XVIII secolo è stato fustigato sulle prestigiose colonne di Foreign Policy, dal cui palcoscenico la giornalista freelance franco-algerina Nabila Ramdani ha sottolineato che Voltaire avrebbe diffuso “oscurantismo, non illuminismo”, invitando la Francia a smettere di “venerare” un “razzista anti-semita che ha ispirato Hitler”.
Fermo restando che la generica accusa di aver “ispirato Hitler” è senza senso (si dovrebbero per questo distruggere tutti i dischi di Wagner perché il Fuhrer ne era amante? Bruciare in pubblica piazza i libri di Hegel e Nietzsche di cui il nazismo diede una lettura deviata?) l’articolo della Ramdani è un esempio da manuale dell’ideologia riduzionista e faziosa che anima gli iconoclasti del politicamente corretto. Fondata su un sostanziale narcisismo, sull’assioma secondo cui se le figure e gli avvenimenti del passato non si sono conformati ai dettami della religione civile progressista odierna è la storia ad essere necessariamente sbagliata. A cui si aggiunge quel vittimismo di fondo di cui nel 1993 Robert Huges aveva scritto descrivendo la nascente egemonia politicamente corretta in La cultura del piagnisteo. In nome del progresso e del rispetto della sensibilità di minoranze e gruppi ritenuti necessariamente più deboli, il politicamente corretto si fa impositivo, pretende di riscrivere la storia e di piegare a sè la narrazione. Le proteste estive hanno segnato un’impennata nella campagna frontale di manifestanti e protestanti contro un ampio novero di figure storiche, di cui Voltaire rappresenta solo l’ultimo esempio.
Negli Stati Uniti il primo bersaglio è stato un classico nemico dei fautori della cancel culture: Cristoforo Colombo. Il grande navigatore genovese è stato considerato il simbolo del colonialismo e dell’oppressione che hanno seguito la scoperta europea delle Americhe e dunque potenziale mandante morale dell’omicidio di George Floyd. La guerra a Colombo è stata spietata: statue decapitate, come a Boston, rimozioni preventive per evitare vandalismi, come accaduto a Chicago, monumenti smantellati come tributo pagato da amministrazioni e governi locali ai manifestanti e a Black Lives Matter. Sono almeno trentacinque i monumenti a Colombo rimossi negli Usa da giugno a oggi. E a molte altre figure non è andata meglio: Thomas Jefferson, Ulysses S. Grant e Theodore Roosevelt, tre presidenti Usa del passato, sono finiti nel mirino come “razzisti” e i loro monumenti messi al tappeto dalla Georgia alla California. Un nemico meno noto dei politicamente corretti è stato San Junipero Serra, il frate e missionario spagnolo vissuto dal 1713 al 1784 celebre per aver evangelizzato la California, canonizzato nel 2015 da papa Francesco in una cerimonia a Washington che fu ritenuta un importante evento di valorizzazione dell’anima latina degli States. Ma per Junipero Serra, purtroppo, questo non basta: non va giù ai cacciatori di streghe il fatto che egli abbia espresso in vita considerazioni negative sulla cultura dei nativi americani. E sono almeno sette i suoi monumenti smantellati in tutta la California.
La religione è stata attaccata frontalmente anche alle sue fondamenta. Il 23 giugno scorso l’attivista Shaun King, uno tra i leader del movimento Black Lives Matter (Blm) ha esortato ad abbattere tutte le statue e distruggere qualunque rappresentazione di Gesù e della Vergine come “bianchi europei”, che a suo dire rappresentano una forma di “suprematismo bianco”. Ha dei richiami con l’ondata globale di proteste, a proposito, quanto sta accadendo in Polonia, dove gli attivisti pro-Lgbt da settimane assaltano chiese e luoghi simbolo del cattolicesimo nazionale, costringendo le autorità a imprre un controllo serrato con le forze di polizia sui luoghi di culto.
Da Vox.com invece è nata la guerra a una figura centrale per la letteratura americana del Novecento, Howard Philips Lovecraft. Il grande autore di racconti dell’orrore, influente su una vasta gamma di scrittori che ha in Stephen King il suo volto più noto, morto nel 1935 è nel centro del mirino per aver espresso in vita considerazioni razziste. Fino alla prima metà del Novecento, in ogni caso, era organico alla concezione della maggioranza Wasp (bianco, protestante, anglo-sassone) della popolazione Usa un senso di superiorità, molto spesso deviato, verso gli altri gruppi etnici: ma entrare nel terreno scivoloso dell’identificazione tra pensieri dell’autore e valore oggettivo dell’opera è sempre un rischio. Il Foglio ci ricorda che a Londra sono finiti nel calderone nientemeno che Charles Dickens e Ludwig Beethoven; in passato era stato il cantore dell’India britannica Rudyard Kipling a far discutere di sé.
Da una sponda all’altra dell’Atlantico, non possiamo non citare quello che per i protestanti europeo è il nemico per eccellenza: Winston Churchill, il primo ministro britannico che “era solamente un razzista”. Le immagini del vandalismo subito dalla statua dell’ex primo ministro di fronte al Parlamento inglese hanno aperto a molti gli occhi sulla deviazione delle proteste verso l’iconoclastia. Analogo destino per l’esploratore Cecil Rhodes, mentre ben più certosina e dettagliata è stata la caccia alle statue dei finanziatori o degli investitori sulla tratta degli schiavi che l’Inghilterra coloniale portò avanti nell’età moderna. La ricerca ha, inspiegabilmente, trascurato il suo più famoso investitore: Isaac Newton, che a fine Seicento fu attivo operatore finanziario che scommesse molto denaro sulle fortune imperiali di Londra. Attendiamo i politicamente corretti negare, per coerenza, la validità della legge di gravitazione universale.
In Italia il fenomeno è arrivato in via incidentale, colpendo le statue di Indro Montanelli a Milano e di Vittorio Emanuele II a Torino. Ma attendiamo un revival: se lo scontro si sposterà dai monumenti fisici a quelli intellettuali, ad esempio, aspettiamoci di vedere Dante Alighieri assorbito dalle proteste per l’insito razzismo, antisemitismo e tradizionalismo della Divina Commedia; Torquato Tasso e Ludovico Ariosto messi al bando per la rappresentazione caricaturale dei popoli mediorientali; Giuseppe Verdi finire nel centro del mirino come poeta sovranista.
Ragioniamo per assurdo, ma vogliamo avvertire della follia a cui può condurre la cancel culture. Il Sole 24 Ore ricorda che per il professore della Columbia University David Freedbergg “le controversie iconoclaste viaggiano attraverso le culture e le religioni e sono un fenomeno ciclico e ricorrente. Dal grande movimento iconoclasta di Bisanzio, passando per la Riforma protestante, la Rivoluzione francese, quella russa, fino all’abbattimento della statua di Saddam Hussein a Baghdad nel 2003”. L’iconoclastia politicamente corretta, però, aggiunge un elemento di problematicità: mira a smantellare senza proporre di edificare alcunchè al posto delle macerie lasciate a terra. Siamo alla damnatio memoriae e al tentativo di impadronirsi con la forza del passato, con l’aggravante che tutto questo, formalmente, è fatto in nome di un uomo vittima dell’arbitrio della polizia nella provincia statunitense. Il cui ricordo è ora usato come grimaldello per battaglie che con le rivendicazioni sociali e personali degli emarginati di tutto il mondo hanno ben poco a che fare.