In Occidente l’aforisma greco panta rei è diventato una sorta di motto molto in voga tra i giovani, nonché celebre idea di tatuaggio. Viene attribuito, erroneamente, ad Eraclito e si configura come incarnazione del concetto di divenire, l’opposto dell’essere teorizzato da Parmenide. Sebbene filosoficamente parlando starebbe ad indicare l’impetuoso e inesorabile mutamento di tutte le cose, nella cultura popolare il suo significato ha assunto un valore diverso, più simile alla rassegnazione per ciò che, volenti o nolenti, di tanto in tanto vola via.

In Estremo Oriente un decorso simile è toccato all’espressione mono no aware, intraducibile letteralmente in italiano ma vicina al senso “popolano” di panta rei. Con una variante nient’affatto secondaria: la caducità delle cose racchiude in sé una melanconica bellezza. Anzi, più una cosa è passeggera, più è intesa, più vale la pena di essere apprezzata e ammirarla finché c’è. Il motivo per cui il sakura, il fiore di ciliegio, sia diventato simbolo della cultura tradizionale giapponese è proprio questo. E il cherry bloom, la fioritura dei ciliegi in primavera, è diventato nel corso dei secoli un appuntamento ricco di pathos per i giapponesi e non solo. L’hanami, spesso indicato esso stesso come fioritura dei ciliegi, è in realtà espressione di movimento, che fa riferimento non all’evento in sé, ma alla contemplazione del fiore, e dello sfiorire, dei ciliegi.

La versione autunnale dell’hanami

Mono no aware è consapevolezza che tutto ciò che esiste è temporaneo. La fugacità della giovinezza, la dissolvenza del romanticismo e l’alternarsi delle stagioni non sono però da piangere, ma da assaporare fino all’ultimo.

C’è uno scritto che, più di altri, ha contribuito a rendere la filosofia del mono no aware intrinseca della cultura nipponica: Il racconto di Genji, opera della dama di corte dell’XI secolo Murasaki Shikibu e passato alla storia come il primo romanzo psicologico e introspettivo moderno.

Se in quel caso il protagonista, Genji appunto, è costretto dal corso degli eventi a prendere coscienza della transitorietà delle cose, questa inizia visivamente ad essere rappresentata come la caduta del fiore di ciliegio in primavera ma anche come lo sfiorire dei caducifoglie in autunno. Ecco perché già nel racconto di Murasaki Shikibu compaiono le battute di “caccia” ai tristemente sontuosi colori autunnali.

Non è un caso che proprio all’epoca Heian risalga la pratica di scrivere le parole kōyō e momiji utilizzando gli stessi kanji. I caratteri posti l’uno accanto all’altro si traducono letteralmente in “foglie rosse”. Ma kōyō e momiji, ad esempio, rappresentano anche lo stesso concetto di caccia, inteso come caccia al cervo (anche nelle opere d’arte i cervi e le foglie d’acero sono spesso rappresentati insieme. Una combinazione che appare anche nel celebre gioco di carte giapponese hanafuda), ma anche appunto come caccia agli scenari autunnali capaci meglio di altri di rappresentare il senso profondo di mono no aware: appena prima di sparire, il colore si mette in bella mostra nel modo più sfarzoso possibile. Questa versione autunnale dell’hanami, allora, è se possibile ancor più puramente nipponica.

Lo spettacolo di novembre

In genere, le foglie iniziano a diventare rosse nel nord del Sacro Arcipelago, in Hokkaidō, intorno alla metà settembre. Pian piano il giallo, il rosso, il viola e il marrone si estendono in tutti i luoghi popolari nel giro di un paio di mesi, con le regioni del Kantō e Kyūshū completamente trasformate tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre.

Di norma la stagione della colorazione più intensa dura 20-25 giorni nel momento in cui la bassa temperatura dell’alba raggiunge i 6 gradi, ma così come per la fioritura dei ciliegi, in Giappone non è indicato fare previsioni “scientifiche” sul momento preciso in cui l’autunno deciderà di svanire nella notte invernale. È la natura a deciderlo, quando lo riterrà opportuno. Se fosse tutto scritto, del resto, la caducità non sarebbe così capace di lasciare ogni volta il suo segno.

Come anticipato, se il sakura è il simbolo prediletto della primavera, la lussureggiante foglia rossa d’acero è la campionessa del momiji d’autunno. Lo straordinario spettacolo stagionale, tuttavia, è reso possibile dalle varie specie di acero autoctono sparse in tutto il Giappone, ognuna con caratteristiche autunnali distinte. Tra queste c’è l’iroha momiji, le cui intricate foglie ricordano le delicate mani di un bambino. Nel linguaggio popolare, per l’appunto, le minute mani posso essere definite “piccole foglie d’acero”, oppure diventare rosso d’imbarazzo viene indicato con l’espressione idiomatica “spargere foglie autunnali”.

In letteratura, invece, oltre alle opere di narrativa, sono incalcolabili le poesie e gli haiku dedicati all’elogio della bellezza dell’autunno. L’adorazione per le foglie dell’acero giapponese si ritrova ad esempio nei famosi versi del sacerdote e poeta Zen Ryōkan, che poco prima di morire affidò alla sacerdotessa Teishin il proprio haikai (una sorta di poetico epitaffio): “Mostra il viso / e la schiena / la foglia d’acero cadente”.
Il momijigari (la pratica di osservare il momiji) è un rito che richiama ogni anno milioni di persone, giapponesi e non. Prendere parte al passatempo di godersi il fogliame autunnale nei parchi cittadini o nell’imponente natura del Giappone rurale è diventata una miniera d’oro anche per l’industria del turismo. Ci sono delle agenzie che nel corso degli anni si sono addirittura specializzate nella proposta di destinazioni popolari per l’osservazione della caduta delle foglie.

Molto gettonati, ad esempio, sono Oirase, nella prefettura di Aomori, e Nikkō, nella prefettura di Tochigi, oltre a numerosi parchi e santuari di Kyoto e Kamakura. Alcuni dei siti più visitati, come Arashiyama e Kōdaiji a Kyoto, godono anche di una versione notturna illuminata e quindi particolarmente suggestiva. Ogni portatore sano di cultura del mono no aware, tuttavia, sa bene che sta nella “caccia” allo scenario autunnale capace di rappresentare al meglio il proprio stato di contemplazione il senso profondo di labilità, di precarietà, di capacità di assaporare al meglio ogni momento.

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