Ci sono effetti visibili, riscontrabili nella quotidianità di miliardi di persone, documentabili con numeri freddi, dati e statistiche, con aziende chiuse, posti di lavoro persi per sempre e settori in crisi. E poi ce ne sono altri, invisibili, altrettanto dolorosi, ma che prendono forma tra i meandri più intimi di ogni singola coscienza. La pandemia di Covid-19 ha stravolto l’umanità in tutti gli ambiti possibili e immaginabili. Dal modo di vivere agli spostamenti: tutto è cambiato, e la “normalità” che eravamo abituati a conoscere è ormai un lontano ricordo. Proprio come nel più classico degli effetti domino, la diffusione del virus ha causato effetti a catena più o meno gravi.

Poiché il Sars-CoV-2 si trasmette mediante droplet e aerosol – e quindi ci contagiamo respirando, parlando ed emettendo le piccolissime goccioline di salive quando parliamo starnutiamo e tossiamo -, gli scienziati hanno adottato severe misure di distanziamento sociale. Oltre all’obbligo di indossare le mascherine protettive, gli esperti hanno imposto provvedimenti volti a limitare i contatti intrapersonali al minimo indispensabile. Niente più cene tra amici, ritrovi al pub, serate allo stadio, concerti e, nei momenti più critici, neppure pranzi con i parenti più stretti. Ovvio: per ottenere risultati apprezzabili nel distanziamento sociale bisogna centellinare gli spostamenti.

L’effetto domino prosegue con la fine dei viaggi, sia quelli di lavoro che, soprattutto, quelli di piacere. Guai a lasciare le mura della propria abitazione, improvvisamente assorta a nido sicuro capace di proteggerci da un pericolo mortale. Al di là della frustrazione derivante dal sentirsi intrappolati in una realtà sempre più dis-umana e disumanizzante, l’assenza di spostamenti ha provocato l’inevitabile crollo del turismo. Gli alberghi sono chiusi ormai da un anno, fatta eccezione per quel poco ossigeno assorbito in estate. Intere città che affidavano la loro esistenza, tanto sociale quanto culturale ed economica, a mandrie di viaggiatori provenienti da tutto il pianeta, sembrano essere scomparse da ogni cartina geografica. Ristoranti, bar e negozi di souvenir hanno chiuso le serrande, mentre le ire dei rispettivi proprietari sono state in parte silenziate da limitati bonus e mancette di governo.

L’uomo moderno, colui che, grazie alla tecnologia e all’innovazione, pensava di essersi trasformato in una sorta di divinità, si è così riscoperto fragile. Non poteva essere altrimenti, visto che la sua esistenza, prima del virus, era fondata sul concetto di mobilità frenetica. I canoni della felicità odierna sono vincolati (e veicolati) da una precisa “mitologia pubblicitaria”. Il punto è di facile lettura: dal momento che le tecnologie del XXI secolo hanno rimpicciolito il mondo, nel periodo pre Covid era possibile raggiungere i cinque continenti in un battito di ciglia. L’apologia del movimento era quindi il mezzo per raggiungere la felicità personale. Una felicità, tuttavia, sempre più effimera, isolante e causa del malessere degli individui. Insomma, gli uomini moderni cercano una felicità che li isoli, nonostante questo isolamento sia esso stesso la causa dei loro mali.

Gli spostamenti erano un perfetto palliativo perché davano l’impressione di vivere al massimo e, al contempo, di consumare il mondo secondo i capricci del momento. La mobilità, inoltre, è sempre stata fatta passare per sinonimo di libertà, il modo migliore per raggiungere un mondo pieno di beni e servizi, presentato come l’unico auspicabile e possibile. “Chi è disposto ad adattarsi alle opportunità offerte dal Grande Mercato – ha scritto Rodolphe Christin nel libro Turismo di massa e usura del mondo, elèthera Edizioni – il prezzo da pagare è lo sradicamento […] Il qui rappresenta la disillusione, l’insoddisfazione e persino la depressione, mentre l’altrove rappresenta la speranza, una vita migliore e il successo”.

Una delle principali conseguenze dell’ipermobilità sfrenata è dunque lo sradicamento, condizione tra l’altro funzionale all’intercambiabilità delle persone e alla replica in serie dei luoghi. La pandemia di Covid-19 ha rotto un meccanismo oliato alla perfezione. Solo che le persone, inebriate dalla smania di un movimento senza sosta, hanno nel frattempo perso le loro radici. Resistere, mentalmente e moralmente, a una situazione come quella odierna, diventa così impresa ardua, se non impossibile. Senza punti di riferimento non si può navigare. O meglio: è possibile farlo, ma senza sapere quale direzione abbiamo intrapreso. Ecco perché l’atto di riscoprire le proprie radici potrebbe essere un altro vaccino di fondamentale importanza. Ecco perché, accanto agli effetti economici, bisogna puntare i riflettori anche sugli effetti invisibili che, troppo spesso, vengono ignorati come se non esistessero.

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