Dai ragazzi, basta con Parigi e Barcellona. Vai con un bell’Erasmus a Gaza, tanto per cambiare. Roba da matti? Mica tanto, se proprio quello ha fatto un serissimo studente italiano di Medicina, Riccardo Corradini, 25 anni, trentino d’origine ma iscritto all’Università di Siena, che proprio nella Striscia ha deciso di svolgere, con una borsa di studio dell’Unione europea e per il tramite di Acs (una Ong impegnata in progetti di riqualificazione dei quartieri poveri della Striscia stessa) l’esperienza di studio e di viaggio così cara a tanti ragazzi europei.
Certo, ci vuole un poco di spirito d’adattamento. Ho parlato con Riccardo due volte. La prima quando, infuriando i lanci di razzi e i bombardamenti, da Gaza era stato evacuato a Betlemme. La seconda quand’era appena tornato in Italia dopo altri giorni passati sotto il fuoco. “All’inizio dell’ultima tornata di scontri avevo appena dato un esame”, racconta: “Ho telefonato a casa, un appartamento in cui vivevo con due studenti palestinesi, un giurista e un economista, e loro mi hanno detto: torna subito qui, stanno lanciando razzi verso Israele, vedrai che succede il finimondo. Faceva temere il peggio il fatto che gli israeliani avessero ucciso il responsabile finanziario di Hamas. Era successo anche nel 2014, e allora si era scatenata una vera guerra. A Gaza non ci sono rifugi antiaerei, quindi ti devi arrangiare come tutti gli altri. Così quella sera siamo rimasti a casa. La sera dopo, invece, ci siamo ritrovati al Centro italiano per gli scambi culturali, per essere già tutti radunati in caso di un’evacuazione d’emergenza. La terza sera, per fortuna, è stato firmato il cessate il fuoco. Ma sono state trentasei ore piuttosto pesanti”.
Riccardo, giunto ormai in vista della laurea, vorrebbe specializzarsi in chirurgia d’urgenza. E magari, durante la specializzazione, approfittare della possibilità di andare all’estero con una delle organizzazioni mediche che si occupano di quel tipo di ferite. Sta scrivendo una tesi che è tutto un programma: “La terapia delle ferite penetranti addominali da arma da fuoco”. Un progetto che, ovviamente, ha avuto il suo peso nella scelta di Gaza. “Certo, in questo territorio l’esperienza che i medici fanno della chirurgia di guerra è purtroppo molto ampia, come pure la quota di popolazione che viene sottoposta a certi interventi. Ma non è solo per questo che sono venuto fin qui. Ho pensato che l’Erasmus poteva essere un’ottima occasione per allargare certi confini mentali. Ancor più nel caso di Gaza, un’area chiusa in un blocco da cui solo pochi palestinesi, e in casi rari e particolari, possono uscire. L’ho vissuto come un piccolo percorso personale di pace, cosa che ovviamente vale anche per i colleghi che lo fanno nelle università di Israele”.
Quindi nessun pentimento?
Assolutamente. Un’esperienza anche dura, ma la rifarei. Sono stato in pronto soccorso e in sala operatoria nell’ospedale Al Wada, nel Nord della Striscia, durante gli scontri tra palestinesi e israeliani, mentre arrivavano pazienti in numero molto superiore alle capacità dell’ospedale. Mi è toccato medicare i feriti ma anche consolare un ragazzo terrorizzato dalle bombe, senza conoscere la sua lingua. Ho imparato tanto, come uomo e come futuro medico”.
E dei medici di Gaza, che cosa puoi raccontare?
Li ho trovati in genere molto preparati e aggiornati. Per dirla in due parole: da loro mi farei curare senza esitazioni. In più ho sempre trovato in loro grande passione e dedizione nel trasmettere le conoscenze agli studenti, ai futuri medici. Cosa che non sempre altrove, per esempio in Italia, si verifica. Anche gli ospedali, che sono numerosi e sparsi su tutto il territorio, sono di buon livello. Certo, scontano un’impressionante scarsità di mezzi e di attrezzature, a causa del blocco imposto da Israele. Scarsità che a sua volta si riversa sui pazienti e sulle possibilità di cura”.
A Gaza sei stato il primo studente Erasmus in assoluto, l’unico studente straniero nella Striscia. Un record mondiale. Puoi dirci le reazioni?
Grande sorpresa. Stupore. Mi chiedevano: ma tu potevi andare, se volevi, anche a Berlino? A Madrid? A Londra? E quando rispondevo sì, certo, sgranavano gli occhi, contenti. Reazioni analoghe, ma di segno opposto, in Italia, quando ho detto che sarei andato a Gaza. Ovvio, pesa molto la narrazione che di Gaza si sente fare. Sembra che lì ci siano solo guerra e terroristi. E non anche i mercati, i caffé, i ristoranti, i ragazzi che escono la sera”.
Tu non eri mai stato nella Striscia. Che cosa ti ha colpito di più?
Proprio quello che stavo cercando di descrivere. I miei colleghi universitari sono passati attraverso tre guerre ma rifiutano di arrendersi al pessimismo e alla disperazione. Difendono con le unghie e coi denti, a dispetto di tutto, l’idea di una vita normale, di un futuro diverso e migliore. Hanno, dentro, una resistenza straordinaria”.