In poco più di tre anni dal momento del suo insediamento, il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha lanciato una violenta campagna di repressione del traffico di stupefacenti, descritta come una vera e propria “guerra alla droga.” Duterte non si è fermato nemmeno davanti alle critiche da parte della comunità internazionale, che lo ha accusato di aver approfittato della campagna antidroga come scusa per giustificare un ampio numero di esecuzioni extragiudiziali ed omicidi sommari. Ad oggi, il numero di morti sarebbe superiore alle 27mila vittime. Sebbene in larga parte si tratti di narcotrafficanti ed altri individui al servizio della malavita organizzata, si annoverano fra i morti anche alcuni minorenni, fra cui una bambina di tre anni.

I numeri spaventosi della campagna antidroga

Poco dopo il suo insediamento nel Giugno del 2016, il Presidente Filippino ha dichiarato alla stampa che non si sarebbe fermato finchè “l’ultimo signore della droga… e l’ultimo pusher non si saranno arresi, messi dietro le sbarre, o sottoterra.” In tre anni Duterte sembra aver mantenuto fino in fondo la sua promessa, arrivando sino al punto di eliminare brutalmente perfino i semplici tossicodipendenti, al di là dell’età, del genere, o dei precedenti penali. Prima dell’insediamento di Duterte, il paese era in mano ai narcotrafficanti, ma secondo le stime ufficiali del governo Filippino, oggi la guerra alla droga avrebbe reso il paese “molto più sicuro” riducendo il tasso di criminalità di quasi un terzo. 

La politica della “tolleranza zero” ha provocato dal Luglio 2016 al 30 Aprile 2019 ben un milione e 300mila sequestri, 185.401 arresti, e 5.245 sospettati uccisi durante le operazioni, almeno secondo quanto riferito dalla Philippine Drug Enforcement Agency (Pdea), l’unità antidroga Filippino. Il numero di omicidi occorsi durante le operazioni contro il narcotraffico avrebbe raggiunto il massimo nell’Agosto del 2018, con ben 32 vittime in un solo giorno. Tuttavia un’investigazione indipendente delle Nazioni Unite ha stimato che il numero di vittime delle esecuzioni extragiudiziali sarebbe ben più alto, ammontando a circa 27.000. Quasi 23.000 di questi morti sarebbero infatti da attribuire a dei “banditi mascherati” che agirebbero in modo indipendente, ma che secondo altre fonti lavorerebbero fianco a fianco con le forze di polizia stesse. I numeri forniti dal governo sarebbero in ogni caso contraddittori e con tutta probabilità sottostimati, visto che i parenti delle vittime spesso temono le violente rappresaglie da parte della polizia. Lo stesso presidente Duterte ha infatti giurato di proteggere gli ufficiali di polizia da qualsiasi procedimento penale a loro carico.

Le reazioni della comunità internazionale

L’intera comunità internazionale ha espresso la sua preoccupazione per le numerose violazioni dei diritti umani che in questo momento stanno avvenendo nelle Filippine. La Commissione sui Diritti Umani delle Filippine, ad esempio, ha scoperto lo scorso Aprile una cella di detenzione segreta in una stazione di polizia a Manila, dove venivano con tutta probabilità torturati i prigionieri. La stessa Pdea sta tentando di imporre dei test antidroga obbligatori nelle scuole, nel tentativo di scovare eventuali tossicodipendenti in età scolare. Tuttavia, questi test violerebbero la dignità dei bambini ed il loro diritto all’integrità fisica, e li esporrebbe alle eventuali esecuzioni sommarie commesse dalle forze governative. Molti minori vengono inoltre ritenuti responsabili dei crimini commessi (anche in caso di uso di sostanze stupefacenti) purché abbiano un minimo di 15 anni. I bambini fino a 9 anni possono infine essere trattenuti forzatamente in specifici istituti di detenzione che sono spesso affollati ed altamente insalubri.

Il Parlamento Europeo ha formalmente richiesto che l’amministrazione di Duterte ponga fine alla guerra alla droga, minacciando di sospendere i commerci se il governo Filippino non risponderà positivamente a questa richiesta. Lo scorso Febbraio il procuratore della Corte penale internazionale ha annunciato che avrebbe dato via ad un esame preliminare degli omicidi avvenuti durante la cosiddetta “guerra alla droga,” ma il presidente Duterte ha risposto ritirandosi dallo Statuto di Roma un mese dopo. Anche il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc) ha condannato le azioni del Presidente, e ha richiamato il governo filippino affinché ricominci a “cooperare con la comunità internazionale.”