Viktor Orban non ha mai nascosto una certa avversione nei confronti di quei decisori politici che vedono nell’immigrazione dall’estero una panacea contro l’inverno demografico; un atteggiamento legato alla consapevolezza che nel medio e lungo periodo, a seconda della dimensione della popolazione in declino e della portata del moto migratorio, una transizione etnica a detrimento del gruppo autoctono diventa altamente probabile, quando non ineluttabile.
La visione intransigente di Fidesz, basata sull’idea che l’Ungheria sia e debba restare la casa del popolo magiaro, non ha mai permesso che sorgesse un reale dibattito ruotante attorno al tema dell’immigrazione quale soluzione al dramma delle culle vuote; un fatto, questo, che ha spronato gli strateghi al servizio di Orban a cercare rimedi esclusivamente contemplanti il nutrimento di una crescita endogena.
I dati sulla crescita della popolazione relativi al 2020, se ripuliti da quell’anomalia statistica che è la pandemia di Covid19, suggeriscono che le iniziative implementate nell’ambito della “demografia patriottica” stiano cominciando a generare i tanto attesi e costosi frutti: matrimoni e nascite in aumento, disparità tra nuovi nati e morti in diminuzione, e crescente attenzione internazionale nei riguardi dell’agenda natalista di Fidesz.
Che cosa dicono i dati?
A inizio febbraio l’Ufficio Centrale Statistico (KSH) ha pubblicato i dati demografici relativi all’anno 2020. Il confronto tra i nuovi nati e i decessi suggerisce, a prima vista, il fallimento dell’agenda natalista di Fidesz: 92.233 culle riempite a fronte di 139.549 decessi, ossia una decrescita naturale di 47.316 persone – in aumento del 17% rispetto al 2019, quando il divario tra neonati e morti era stato di 40.140.
La conclusione di questa lettura cruda e puramente matematica, poiché basata e ferma sui numeri, è disarmante ed univoca: l’inverno demografico che ha avvolto il popolo magiaro, iniziato nel lontano 1981 e oggetto di un allarmante velocizzazione con l’entrata nel nuovo secolo, non è stato né rallentato né arrestato. L’estinzione dell’Ungheria dalle mappe demografiche appare ormai alle porte.
Eppure, ci sono alcuni “però” da tenere in considerazione. In primis, come ribadisce lo stesso istituto di statistica, l’ampliamento del divario tra nuovi nati e decessi è da imputare alla pandemia – il cui impatto mortifero è stato significativo: mortalità in aumento del 7.7% rispetto al 2019. In secundis, e questo è il punto più importante, le nascite sono in crescita, anche se non garantiscono ancora il ricambio generazionale: incremento del 3.4% in comparazione all’anno precedente, o, in altri termini, un tasso di fertilità totale salito da 1,49 figli per donna a 1,55.
Nascite e matrimoni in aumento
La strada verso la rinascita demografica è lontana – il ricambio generazionale inizia con il raggiungimento della soglia di 2,1 figli per donna –, ma la situazione è indubbiamente migliore rispetto al 2010, l’anno dell’inizio dell’era Fidesz. L’eredità trasmessa dai padrini postcomunisti ad Orban era tragica: un anemico e ferale tasso di fertilità di 1,25 figli per donna; uno dei più bassi mai registrati nella storia globale recente.
Un aumento dello 0,3 su base annua può sembrare irrisorio ed ininfluente ma, avendo a mente il quadro completo, non lo è affatto: il tasso di fertilità totale è in ascesa da un decennio, e sta crescendo lentamente ma gradualmente, senza interruzioni, accompagnato dal fenomeno collegato della propensione al matrimonio. Dal 2019 al 2020, infatti, i matrimoni sono aumentati del 3,1%, o, in altri termini, 67.301 coppie hanno deciso di sacralizzare ufficialmente il loro legame affettivo.
Nascite e matrimoni sono interconnessi perché non si può riempire una culla se manca il tetto, il tetto di una casa abitata da una famiglia stabile e funzionale, plasmata da ideali e valori enfatizzanti la superiorità dell’unità familiare al carrierismo e all’individualismo. Fidesz ha compreso una verità lapalissiana, perché sotto gli occhi inattenti di tutti, ovvero che l’inverno demografico, un evento che accomuna quasi ogni società avanzata del globo, è inestricabilmente legato a, e provocato da, elementi e peculiarità del modus vivendi emesso e promosso dal sistema capitalistico – come la cornucopia permissiva, l’atomizzazione sociale, il narcisismo, l’edonismo e il libertinismo – dai quali sono scaturiti stili di vita avversi alla natalità (childfree) e che hanno favorito la polverizzazione dell’istituto-famiglia.
La ricetta del successo
L’attuale ministro della famiglia ungherese, Katalin Novak, nel commentare i dati del KTS, ha parlato di “svolta demografica”: nascite in aumento del 24% dal 2010 al 2020; un caso unico nel panorama sterile dell’Unione Europea. Anch’egli è fermamente convinto del legame unente natalità e nuzialità: nello stesso periodo di riferimento i matrimoni sono quasi raddoppiati, passando da 35mila a 67mila.
Quella che Novak ha definito (a ragione) una svolta demografica è il frutto di un decennio di politiche economiche, sociali e culturali a supporto di gioventù e famiglie, anche se l’impulso determinante è provenuto dall’implementazione del “Piano d’azione per la protezione della famiglia” del 2019. Le misure introdotte dal programma sono onerose, equivalgono al 5% del pil e sono quattro volte superiori alle spese in difesa, e, fra le varie cose, prevedono:
- L’accesso a prestiti agevolati alle coppie che hanno almeno due figli
- L’accesso a prestiti agevolati, detassazione e un sussidio per l’acquisto di un’autovettura alle coppie che hanno almeno tre figli
- La possibilità di richiedere un prestito unico di circa trentamila euro alle coppie che hanno più di due figli; prestito con un tasso d’interesse variabile a seconda del numero dei figli e che, in circostanze speciali, può essere non ripagato
- L’esenzione a vita dall’imponibile fiscale per le madri che hanno più di quattro figli
Ai punti di cui sopra si aggiungano gli altri provvedimenti introdotti nell’ultima decade e nell’ultimo biennio, in particolare:
- La riduzione di oltre un quarto dei prezzi dell’energia per le famiglie
- La revisione del sistema fiscale a favore delle unità familiari
- L’introduzione di leggi ad hoc a supporto dei lavoratori dipendenti con figli: bonus, buoni spesa, permessi, congedi parentali
- L’accesso gratuito alla fecondazione assistita
- L’impiego di strategie di condizionamento culturale per incoraggiare i magiari, specialmente gli appartenenti alle nuove generazioni, a rivalutare positivamente l’ideale della famiglia naturale: libri, spettacolo, televisione, e personaggi pubblici e politici che pubblicizzano la propria vita privata per trasmettere il modello della “famiglia felice”
Un modello per il resto del mondo?
Come ha spiegato recentemente il demografo Marcus Roberts, che, dapprima scettico nei riguardi dell’agenda natalista di Fidesz, si è ricreduto alla luce dei numeri, “il piano dell’Ungheria potrebbe essere un modello per quei Paesi desiderosi di aumentare i loro tassi di natalità”. La differenza fra la strategia demografica di Orban e le altre (fallimentari) tentate nel resto del mondo avanzato, è che “non soltanto fornisce assistenza finanziaria alle famiglie, ma mostra anche che il governo e la società siano impegnati a supportare le famiglie e a valorizzare i genitori in quanto parte integrante del tessuto statale”.
L’esperimento ungherese, dopo aver attratto la curiosità dei demografi indipendenti, sta iniziando a catturare l’interesse dei governi. A fine gennaio, secondo quanto filtrato dalla stampa magiara, le autorità giapponesi hanno avviato uno studio approfondito dell’agenda natalista di Fidesz, in quanto ritenuta “meritevole di attenzione” e perché, come spiegano su Japan Business Press, “l’Ungheria vuole risolvere lo spopolamento senza immigrazione, e anche il Giappone condivide questa visione”. Il primo contatto a scopo di scambio di informazioni è avvenuto a inizio anno nella capitale ungherese, dove si sono incontrati l’ambasciatore giapponese in loco, Otaka Masato, e il ministro Novak.
La demografia patriottica di Fidesz potrebbe essere realmente un elisir contro l’inverno demografico che minaccia la sopravvivenza futura di intere nazioni, specialmente nel Vecchio Continente, e il fatto che il Giappone abbia inaugurato un percorso di studio per valutarne l’effettività dovrebbe almeno suscitare qualche riflessione tra i decisori politici europei.