Semaforo verde in Myanmar per l’allevamento a scopo commerciale di tigri, pangolini e altre specie in via di estinzione. La nuova legge, ha spiegato il dipartimento forestale birmano, è stata pensata appositamente per ridurre le due piaghe che attraversano il Paese: il bracconaggio e l’allevamento illegale della fauna selvatica più rara.

Gli ambientalisti sostengono tuttavia che la norma non farà altro che incrementare la domanda cinese di queste specie, richiestissime, per vari motivi, dagli abitanti più ricchi dell’ex Impero di Mezzo. Come ha sottolineato il South China Morning Post, il Myanmar è un vero e proprio hub per il traffico illegale di animali selvatici da parte di uomini senza scrupoli. La parte più consistente della domanda arriva dalla confinante Cina, dove la consumazione di certi prodotti, come ad esempio le scaglie di pangolino, rappresentano un simbolo di ricchezza della nuova classe media e fanno parte della medicina tradizionale cinese.

Un commercio del genere vale globalmente 20 miliardi di dollari. È probabilmente anche per questa ragione – sostengono i alcuni attivisti – che le autorità del Myanmar hanno dato il via libera agli zoo privati per richiedere apposite licenze per la riproduzione di 90 specie, di cui oltre 20 in via di estinzione o in pericolo.

Una legge rischiosa

Il dipartimento forestale ha così giustificato la nuova legge, ma i gruppi impegnati nella protezione delle specie in via di estinzione sono molto preoccupati per gli effetti nefasti di una simile normativa. Il rischio è che la domanda possa presto impennarsi, così come il rischio dello scoppio di nuove epidemie tra gli esseri umani.

Ricordiamo infatti che il pangolino è uno dei candidati, assieme al pipistrello, ad aver trasmesso il Sars-CoV-2 agli uomini. Attenzione però, perché oltre al bizzarro mammifero ci sono anche altri animali finiti in un limbo infernale. La lista è piuttosto lunga: tigri – una delle ultime stime sostiene che in Myanmar ne siano rimaste appena 22 – eleganti, alcune specie di avvoltoi, il delfino Ayeyearwady e il coccodrillo siamese.

Tutti questi animali, adesso, possono essere allevati a fini commerciali per la loro carne e pelle. Altro che annullare gli allevamenti illegali: gli attivisti sono convinti che la legge, soprattutto nel lungo periodo, possa arrivare a legittimare lo sfruttamento delle specie in pericolo per accumulare denari e, in generale, alimentare la domanda del mercato.

Malattie e sanità

Gli esperti temono – e questo è un altro pericolo enorme – che le scarse capacità del Myanmar di regolare il commercio di animali selvatici possano dare il via libera alla propagazione di malattie. Le zoonosi, cioè i salti di specie dei virus dagli animali agli esseri umani, sono dietro l’angolo.

Alcuni scienziati ritengono che, dietro a un commercio simile, possa nascondersi anche il “prossimo Covid-19“. Da un punto di vista legale, sottolinea ancora il South China Morning Post, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie a rischio estinzione permette l’allevamento in cattività di alcuni animali. C’è una conditio sine qua non: l’allevamento deve rispettare rigide normative, tali da evitare rischi sanitari e commercio sottobanco.

Gli attivisti dubitano sulle reali possibilità del Myanmar di tenere sotto controllo una situazione potenzialmente esplosiva. Nel peggiore degli scenari, il governo birmano potrebbe ritrovarsi a fare i coni con una fauna selvatica ridotta all’osso, proprio come accaduto in Laos, Vietnam e Thailandia. Senza considerare una possibile, nuova epidemia.