Il marzo del 2021 sul fronte dell’emergenza Covid è stato un mese importante: per la prima volta si è potuta tracciare una comparazione su base annuale. E questo perché la pandemia nel nostro Paese ha iniziato a far vedere i suoi effetti a partire dal marzo del 2020. Dati a confronto, quello che emerge è una situazione non del tutto rosea. L’Italia sembra non abbia fatto grossi passo in avanti.
I dati delle ospedalizzazioni e delle terapie intensive
Più di un anno di pandemia, 13 mesi di lotta contro un nemico invisibile che non accenna a rallentare la morsa nonostante la ricerca continui gli studi in modo incalzante. Il coronavirus è ancora il protagonista indiscusso della nostra quotidianità, con cifre di contagio che fanno preoccupare. E se a destare allerta sono i numeri delle persone rimaste contagiate, non può essere da meno l’apprensione circa la situazione che si vive all’interno degli ospedali per le persone che necessitano l’assistenza diretta del personale sanitario. Cos’è cambiato rispetto allo scorso anno? Poco, molto poco. Andiamo a vedere. Prendendo come riferimento il mese di marzo del 2020, quello in cui la pandemia ha raggiunto il massimo picco lo scorso anno e paragonandolo al mese di marzo del 2021, i dati che emergono parlano chiaro. I posti letto per il trattamento Covid occupati al 31 marzo 2020 erano 28.192. Una cifra non molto lontana dai 29.180 di quest’anno. La situazione può dirsi quasi simile anche con riferimento alle terapie intensive: 4.023 i posti occupati al 31 marzo 2020 e 3.710 al 31 marzo 2021.
Procediamo con altri dati. Un numero che di certo non può non lasciare indifferenti è quello che fa riferimento all’isolamento domiciliare. Rispetto alle 45.420 persone che si sono curate in casa a marzo del 2020, nello stesso periodo del 2021 sono state 528.387 quelle che hanno seguito le terapie nel proprio domicilio. Il dato è però esplicativo di un fatto importante: quest’anno i tamponi processati sono ben al di sopra di quelli dello scorso inverno. L’esame laringo faringeo non viene eseguito solamente a chi manifesta i sintomi del Covid ma anche a persone che, pur non avvertendo malesseri, sono state però a contatto con un positivo. Risultate poi anch’esse affette dal virus, ma in forma asintomatica, sono state sottoposte all’isolamento domiciliare.
La “distribuzione” delle terapie intensive
Una delle emergenze che è stata costantemente monitorata in quest’ultimo anno è quella che fa riferimento alle terapie intensive, vero termometro della situazione. Sebbene i dati di questo trattamento rispetto allo scorso anno sono in calo solo in maniera molto sensibile, è pur vero che la pressione di recente si è avvertita di meno. E ci sono dei perché. Partiamo dal primo. Nel 2020 l’arrivo del coronavirus ci ha colti in un certo senso di sorpresa. Gli ospedali non disponevano dei posti di terapia intensiva sufficienti per far fronte alle continue richieste. I posti in più da riservare al trattamento del Covid grave sono stati realizzati in una seconda fase. Poi si sono aggiunti anche i Covid Hospital che hanno contribuito a dar man forte all’esigenza di assistere i malati.
Ma un altro motivo, anch’esso di non poco conto, che quest’anno ha fatto avvertire meno la pressione negli ospedali, è stato dovuto al fatto che mentre lo scorso inverno la maggior parte dei pazienti che avevano necessità delle terapie intensive erano concentrati in Lombardia, in questi ultimi mesi senza distinzione di Regione, tutte le strutture ospedaliere, dal Nord al Sud, hanno assistito pazienti in questi reparti specializzati. Per essere più chiari: se a fine marzo su più di 4mila persone ricoverate in terapia intensiva circa 1.300 erano solamente quelle lombarde, quest’anno la situazione è stata più equilibrata in tutto il territorio nazionale.
I dati relativi ai decessi
Ogni vittima, si sa, è una tragedia. E di vittime in Italia, a causa del Covid, in un anno ce ne sono state tante, troppe. Almeno più di centomila. Dietro ogni singola morte, c’è la storia di una vita spezzata. Il più delle volte chi è venuto a mancare per via del coronavirus ha interrotto la propria esistenza lontano dai propri cari, impossibilitato ad abbracciare i propri affetti, all’interno di fredde e asettiche stanze di ospedale. Un aspetto che rende ancora più drammatica la sciagura abbattutasi un anno fa sul nostro Paese. In questa vicenda ad essere freddi sono anche i numeri. Spietati, proprio come il virus, raccontano ogni giorno cosa accade sul fronte del Covid.
Le storie di chi viene a mancare nei nosocomi diventano poi cifre e dati che, stampati su un grafico, tratteggiano l’andamento non solo dell’epidemia, ma anche della gestione dell’emergenza e della pressione ospedaliera. Il 31 marzo 2020 le vittime causate dal virus sono state 837. Pochi giorni prima, il 27 marzo, l’asticella aveva toccato quota 919. É stata quella la settimana più terribile della prima ondata. La discesa della curva non è stata fulminea. Nella terza settimana di aprile del 2020 la media delle vittime era di circa 500 al giorno. Solo in estate la situazione è migliorata. Ad ottobre, con l’inizio della seconda ondata, i grafici hanno segnato nuove impennate, fino al picco del 3 dicembre, quando i morti in 24 ore sono stati 993. Oggi, con l’Italia alle prese con l’inizio della fase discendente della terza ondata, le vittime ogni giorno sono ancora molte. Il 31 marzo 2021 sono decedute 467 persone. Quasi la metà della stessa giornata dell’anno precedente. Ma ancora tante. È il segno di un’emergenza che, in 12 mesi, è arretrata soltanto di pochi passi.
Un anno gettato via
Dal marzo 2020 al marzo 2021 l’Italia ha dovuto affrontare sacrifici senza precedenti. Tregua estiva a parte, nel nostro Paese si sono susseguiti provvedimenti restrittivi, chiusure, da novembre in tutto il territorio nazionale vige anche un coprifuoco nelle ore notturne. Ma a guardare la comparazione dei dati, sorge un atroce dubbio: tutte gli sforzi fatti dai cittadini sono serviti a qualcosa? L’epidemia, da noi come nel resto d’Europa, non è stata sconfitta. Il contenimento del virus è stato soltanto limitato e non ha comportato l’abbattimento del numero di contagi e vittime. Quella convivenza con il morbo di cui molto si è parlato alla vigilia della fatidica “Fase 2”, successiva al primo lockdown, non si è verificata.
I passi in avanti in un anno sono stati molto pochi. La situazione tra lo stesso periodo del 2020 e del 2021 appare drammaticamente simile. L’unico elemento realmente diverso sta forse nella percezione della situazione. L’anno scorso infatti il virus non lo si conosceva, le esperienze provate sul fronte delle restrizioni erano del tutto inedite e dunque la popolazione era più impaurita di adesso. Tuttavia è possibile trovare in questo contesto dei segnali positivi: la terza ondata è stata più corta delle precedenti e nei Paesi dove la campagna di vaccinazione è già in fase avanzata l’epidemia ha iniziato realmente a rallentare. Vaccini e temperature estive sono i due elementi a cui potersi affidare.