Può essere tradotto in italiano come “lockdown a sorpresa“, ed è un'”invenzione” delle autorità di Hong Kong. Mai nessuno al mondo aveva ancora usato il cosiddetto “ambush-style Covid-19 lockdown”, una serrata generale localizzata attuata all’istante, senza dare alcun preavviso alla popolazione. Da quando, tra la fine dello scorso dicembre e l’inizio di gennaio, i casi giornalieri di Covid-19 sono tornati a salire – sfondando anche il tetto dei 100 casi al giorno (un’inezia ovunque, non qui dove il virus è sempre stato tenuto sotto controllo) -, il governo hongkonghese ha inasprito le misure restrittive, affidandosi, per la prima volta, anche al lockdown. Attenzione però, perché il fermi tutti attuato dalle autorità è ben diverso da quello deciso dai leader europei e in gran parte del pianeta. Per rendere la misura più efficace, ed evitare fughe di positivi capaci di compromettere l’azione sanitaria, Hong Kong ha scelto di affidarsi ai lockdown a sorpresa, cioè attuati in tempo reale.
I lockdown a sorpresa
I quartieri in cui i casi di Covid-19 sono aumentati possono essere recintati dalla mattina alla sera senza che le forze dell’ordine abbiano prima avvisato i residenti. Come ha raccontato il sito Hong Kong Free Press, il procedimento è semplice. Le aree residenziali in cui sono stati registrati focolai – solitamente si tratta dei quartieri più poveri – vengono isolati dal resto della città. La polizia circonda gli edifici, assicurandosi che nessuno possa entrare o uscire dalla zona rossa. E i passanti che non abitano in quella zona ma che, sfortunatamente, si trovano a transitare da lì durante l’azione delle autorità? Non si capisce bene che fine facciano, se vengano cioè “liberati” o se siano costretti a restare dove si trovano.
Anche perché questi lockdown a sorpresa sono delle vere e proprie operazioni pianificate a tavolino per testare tutti gli abitanti di un certo quartiere nel minor tempo possibile e isolare i positivi. Durata massima: da poche decine di ore a qualche giorno. Il 23 gennaio, ad esempio, è scattato un lockdown per contenere i contagi da Covid-19 in uno dei distretti più poveri e popolosi, abitato anche da minoranze etniche. Le misure hanno riguardato 10.000 residenti di 150 unità abitative della zona di Jordan a Kowloon. L'”area limitata” è rimasta sigillata per 48 ore per fare in modo che tutti gli abitanti fossero sottoposti ai test per il coronavirus.
A caccia di positivi
L’obiettivo, come detto, non è quello di interrompere le relazioni interpersonali o bloccare l’economia della città, quanto piuttosto rintracciare i positivi. Il leader della città, Carrie Lam, ha spiegato che tali i blocchi “stile imboscata” sono necessari per garantire che le persone non fuggano prima che i tester si trasferiscano. Per garantire che i futuri blocchi siano mantenuti riservati in modo che i residenti non se ne vadano in anticipo, Lam ha affermato che saranno di dimensioni inferiori, ma ha aggiunto che diverse operazioni potrebbero svolgersi contemporaneamente. Probabilmente saranno limitati a una strada o più edifici adiacenti, ha spiegato.
La leader della città ha aggiunto che il governo migliorerà il suo sostegno e le forniture ai residenti in modo che avranno tutto ciò che serve loro e non sentiranno la necessità di lasciare le aree di blocco. Lam ha inoltre invitato la cittadinanza a collaborare e ad attenersi ai divieti, riferendo che più di 200 residenti del quartiere Giordania non hanno rispettato il blocco imposto e potrebbero essere soggetti a sanzioni. “Se ci sono dipendenti che non possono andare a lavorare a causa del blocco, il governo spera che i datori di lavoro possano esercitare discrezione e non detrarre salari o benefici dei lavoratori”, si legge in una dichiarazione del governo. Anche se la strategia si è rivelata efficace, è stata comunque criticata per la sua brutalità di fondo.