L’Europa è ormai alle prese con la seconda ondata della pandemia. Italia, Francia, Regno Unito e Olanda, solo per citare alcuni casi, hanno varato nuove norme restrittive e l’indice dei contagi ha di nuovo virato verso l’alto. Per questo motivo di è tornato a parlare delle app di tracciamento come strumento per spezzare le catene del contagio. I vari Paesi europei si sono mossi in ordine sparso, con risultati abbastanza deludenti, sia in termini di download che di efficacia.

Prima di disegnare la mappa della risposta tech al virus, è bene fare una premessa per capire quali sono le tecnologie a disposizione. Se da un lato le discussioni all’inizio della pandemia avevano portato a una certa uniformità su che tipo di tecnologia utilizzare, il Bluetooth, dall’altro lasciavano aperto il dibattito su come gestire i dati raccolti.

La comunità tecnologica e quella politica si sono interrogate se adottare un modello “centralizzato” o “decentralizzato”. Il primo prevede che i dati raccolti dagli utenti che hanno scaricato e utilizzato l’app vengano raccolti ed elaborati da un server centrale. Il secondo prevede invece un approccio diverso, nel quale anche se esiste un server centrale, la gran parte dei dati rimane nei singoli dispositivi garantendo una maggiore protezione della privacy.

Come funziona il sistema di Apple e Google

Ogni Paese ha scelto strade diverse, anche se la svolta decisiva verso il sistema decentralizzato è arrivata il 10 aprile, con l’annuncio di Apple e Google. Le due società – che con iOs e Android gestiscono quasi tutto il mercato dei sistemi operativi per smartphone – hanno elaborato un sistema comune per integrare il tracciamento dei contatti, definito dalle due big tech “notifica delle esposizioni”.

Il sistema pensato dalle due società non si è basato su un’app, ma sulla possibilità per gli sviluppatori di accedere a specifiche interfacce di programmazione, la API. In questo modo si è lasciato ai governi un margine di manovra per elaborare le applicazioni rispettando esigenze specifiche. Apple e Google nel fornire l’infrastruttura hanno però stabilito che queste API funzionassero solo con un sistema di raccolta di dati decentralizzato. Una decisione accolta dai vari Paesi in modo disomogeneo.

Il lento decollo di Immuni in Italia

In Italia l’app per il contact tracing dell’epidemia ha iniziato a circolare l’8 giugno, quando è iniziata la sperimentazione in quattro regioni, Liguria, Abruzzo, Marche e Puglia. Poco dopo, il 15, è stata resa disponibile in tutte le altre regioni. Stando alle informazioni del ministero della Salute, e allo studio del codice sorgente dell’applicazione, Immuni è un software che utilizza il Bluetooth a bassa intensità e si basa sull’architettura di Apple e Google con una raccolta dei dati decentralizzata.

Negli ultimi mesi la crescita nel numero dei download è stata piuttosto lenta. Secondo i dati del ministero aggiornati al 14 ottobre, Immuni è stata scaricata 8,7 milioni di volte e negli ultimi quattro mesi ha inviato 10 mila notifiche di esposizione e segnalato 567 utenti positivi. Su quest’ultimo numero il ministero precisa che si tratta di “utenti che hanno condiviso le informazioni di positività se hanno o non hanno ricevuto la notifica di esposizione”.

Secondo uno studio del Big Data Institute di Oxford molto citato, perché si possa ottenere un effetto significativo sulla curva dei contagi l’app dev’essere scaricata e attivata da almeno il 15% della popolazione, quindi circa 9 milioni di cittadini. Per cui, conti alla mano, mancano circa 300 mila persone alla soglia critica. Il problema però è che non basta scaricare e attivare l’app per ottenere una risposta efficace. È necessario anche uno scatto delle pubbliche amministrazioni, scatto che non sempre avviene come successo in Veneto dove le Asl non hanno caricato i codici di chi segnalava la propria positività. Ma questo tipo di problemi non riguarda solo l’Italia.

Il successo e le ombre dell’app in Germania

Uno dei Paesi con il maggior numero di download per l’app di tracciamento è stata la Germania, dove Corona-Warn-App a inizio settembre ha toccato quota 20 milioni (oltre il 22% della popolazione), raggiunti in soli tre mesi dal lancio. Come immuni anche questa si basa su architettura decentralizzata. Nelle prima fasi di discussione, in marzo, il governo aveva pensato a un sistema centralizzato, ma la proposta era stata bocciata sia dall’opposizione, che dall’opinione pubblica tedesca, molto sensibile sui temi della privacy proprio in virtù della memoria storica legata alla sorveglianza di mazza nell’ex Ddr.

Nonostante i numeri consistenti l’app è ben lontana dal dare un contributo decisivo al contenimento dell’epidemia. Le autorità tedesche hanno infatti confermato che bug e canali di comunicazione fragili con i laboratori di analisi impediscono un completo inserimento dei dati. Come ha notato l’agenzia centrale tedesca per il controllo delle malattie, il Robert Koch Institute, l’approccio decentralizzato non permette di avere sufficienti dati per dire quanto l’app sia efficace, ad esempio non è in grado di dire con precisione se chi è entrato in contatto con qualcuno poi risultato positivo è stato avvisato e questo perché l’app richiede al paziente malato di notificare l’avvenuto contagio.

A settembre il ministro della Salute Jens Spahn ha spiegato che circa 5mila persone hanno usato l’app per inviare una notifica di contagio, esattamente la metà di quelli che hanno ricevuto una notifica dall’app. Parlando ai giornalisti in conferenza stampa Spahn ha esortato i cittadini a inviare notifiche a Corona-Warn-App. L’associazione tedesca che riunisce i laboratori di ricerca ha inoltre fatto sapere che la percentuale di test eseguiti su pazienti che hanno ricevuto una notifica si è attestata tra il 3 e 6%.

La Spagna alle prese con una sanità decentrata

Chi è ancora indietro nell’implementazione di una strategia di tracciamento è la Spagna. L’app scelta dal governo di Madrid si chiama RadarCovid e si basa su un sistema di raccolta dati decentrato. Il problema è che il Paese iberico è arrivato tardi allo sviluppo dell’app e soprattutto in modo disomogeneo. L’app si deve destreggiare lungo i 17 sistemi sanitari di altrettante regioni in cui è diviso il Paese.

Il rilascio di RadarCovid è arrivato tra la fine di agosto e inizio settembre. E un mese fa solo il 75% della Spagna era coperto. Poi via via si sono aggiunte altre regioni come la comunità di Madrid entrata nel programma l’8 ottobre. Mentre la Catalogna è ancora senza app per il tracciamento. Secondo i primi dati a metà settembre l’app era stata scaricata solo da 4 milioni di utenti. Una soglia ben lontana dal 20% stimato dal governo centrale per avere un’efficacia concreta.

I passi falsi in Inghilterra

Tra i Paesi che hanno tentato la strada di un app con raccolta centralizzata c’è l’Inghilterra. L’esperimento però si è rivelato fallimentare. Londra, anche dopo la decisione di Google ed Apple, aveva optato per un software di raccolta dati più centralizzato avviando poi una prima sperimentazione sull’Isola di Wight a maggio. Il test rivelò subito i limiti di quel tipo di approccio: solo il 4% degli iPhone e il 75% degli smartphone Android riuscivano a scambiarsi informazioni. Il sistema della Mela, in particolare, non consente di tenere sempre attivo il bluetooth per questo l’app funzionava solo in rari casi. Come abbiamo visto l’API varata da Cupertino ha aperto il protocollo ma vincolato al sistema decentrato.

Per questa ragione, dopo settimane di polemiche interne, il governo britannico è tornato sui suoi passi elaborando una seconda app, poi denominata NHS Covid-19, basata sul sistema decentrato. Dopo un nuovo giro di test sull’isola di Wight e in una zona di Londra, a fine settembre NHS Covid-19 è stata introdotta in tutto il Paese. Dopo il lancio il numero dei download è schizzato a 12,4 milioni in quattro giorni, poi salito a 16 a metà ottobre. La strada inglese si è così allineata a quella degli altri Paesi del Regno. Scozia e Irlanda del Nord hanno infatti sviluppato propri dispositivi, rispettivamente Protect Scotland (1,4 milioni di download) e StopCOVID NI (500 mila download), entrambe appoggiate sulla raccolta decentralizzata delle API di Apple e Google.

Il fallimento centralizzato della Francia

Chi invece è ancora in profonda difficoltà è la Francia, dove recentemente il presidente Emmanuel Macron ha varato il coprifuoco in otto città dopo un forte aumento dei casi. Qui l’app per il tracciamento si chiama StopCovid ed è stata lanciata il 2 giugno scorso. Basata su tecnologia Bluetooth, StopCovid non si appoggia alle API di Apple e Google e gestisce le informazioni con un sistema centralizzato. La decisione del governo transalpino per il momento non ha dato i frutti sperati. Secondo le ultime informazioni è stata scaricata solo da 2,6 milioni di persone, circa il 5% della popolazione.

Stando ai dati del governo elaborati a inizio ottobre circa 7.900 persone si sono dichiarate positive e circa 472 sono invece le notifiche di esposizioni partite a potenziali contatti. Il flop è certificato anche dal fatto che fino a metà ottobre circa 1,1 milioni di persone hanno scelto di disinstallare l’app, mentre altre migliaia l’avevano scaricata senza però attivarla.

Il 22 ottobre dovrebbe arrivare una nuova versione dell’app anche se i dettagli non sono ancora chiari anche se dovrebbe restare il sistema centralizzato di gestione dei dati. Il presidente Macron ha spiegato che verrà accompagnata da una vasta campagna di comunicazione e forse con un ricalcolo sui tempi di esposizione per segnalare una positività.

Lo strano successo irlandese

A fare meglio di tutti in Europa è stata però l’Irlanda. Il 6 luglio scorso nel Paese è stata resa pubblica l’app Covid Tracker Ireland e in soli otto giorni il numero di download è arrivato a 1,3 milioni, il 26,5% della popolazione. Il governo di Dublino punta a raggiungere i 2,2 milioni per arrivare al 60% della popolazione e la strada sembra buona. Covid Tracker Ireland si interfaccia anche con StopCOVID NI del vicino Ulster e permette di aiutare il tracciamento lungo il confine tra le due Irlande.

Come va fuori dall’Europa: il caso del Nord America

Il Nord America ha risposto all’emergenza in modo diverso. Il Canada ad esempio ha adottato un approccio più europeo lanciando il 31 luglio scorso “COVID Alert”, una piattaforma per smartphone basata sulle API di Apple e Google e quindi con un sistema di raccolta dati decentrata. Stando ai dati del governo di Ottawa aggiornati al 13 ottobre, l’app è stata scaricata 4,3 milioni di volte (su una popolazione complessiva di 37 milioni) ed è attiva in otto province su 10.

Ordine sparso invece negli Stati Uniti. Attualmente sul territorio statunitense ci sono dieci app per il contact tracing attive che si basano sui protocollo Google-Apple. Molte sono state sviluppate in singoli stati come Alabama, Sud Carolina e Nord Dakota o anche città come New York. Altre sette entità tra città e Stati stanno lavorando a nuove app, anche se restano ancora molti territori scoperti dal servizio.