L’Ecuador in piena emergenza da Covid-19 è al collasso e in particolare Guayaquil, città di più di tre milioni di abitanti sulla costa del Pacifico. Le scene diffuse su web e sui social sono a dir poco agghiaccianti: gente che trascina corpi di familiari deceduti, avvolti in sacchi di plastica, fuori dalle abitazioni per lasciarli in strada nella speranza che la polizia li porti via. In certi casi i cadaveri restano all’interno delle abitazioni anche per quattro o cinque giorni a causa del collasso del sistema funerario. In altri, i corpi vengono dati alle fiamme in mezzo alla strada per cercare di disinfettare la zona dal virus o semplicemente gettati nell’immondizia, pur di cercare di evitare la contaminazione in casa. Gli obitori sono strapieni, le ambulanze non ci sono e gli ospedali sono al collasso. Intanto in diverse zone della città vengono segnalate fosse comuni per gettare i corpi. Ai morti da Covid-19 vanno ad aggiungersi anche i decessi per altre patologie, ma oramai è diventato difficilissimo persino distinguerli, in una situazione da girone dantesco dove i morti non si contano neanche più.
Terrificante la testimonianza di Jésica Castañeda, rilasciata alla BBC Mundo: “Mio zio è morto il 28 marzo e nessuno è venuto ad aiutarci. Gli ospedali ci hanno detto che non avevano più barelle e lui è deceduto a casa. Il corpo è ancora lì, a letto, perché nessuno può toccarlo”. E ancora un’altra: “Il clima qui rende il livello di decomposizione dei cadaveri più veloce che in altre parti del Paese. Ho sentito parlare del caso di un defunto nella sua camera da letto i cui parenti hanno portato il corpo sul materasso direttamente sul marciapiede”. Sono già 300 i cadaveri recuperati in queste condizioni.
Allo stato attuale in Ecuador si registrano 3.163 casi di positivi al Covid-19, la maggior parte dei quali proprio a Guayaquil, ma i numeri sono relativi, visto che moltissimi pazienti non vengono nemmeno controllati. Difficilissimo fare poi una stima dei morti; fonti ufficiali parlano di 120 decessi, ma è difficile credere che il sistema funerario sia collassato per un numero del genere. Del resto, diverse Ong della regione di Guayas hanno già denunciato l’occultamento del numero di morti da parte delle autorità, richiedendo l’intervento dell’Organizzazione mondiale della sanità affinché vengano fatte ispezioni.
Durissima la sindaca di Guayaquil, Cynthia Viteri (risultata positiva al Covid-19) che ha attaccato pesantemente il governo ecuadoriano per il fatto che nessuno vuole raccogliere i cadaveri nel timore di venire contagiato. Lo scorso 30 marzo il comandante della Marina nazionale, Darwin Jarrin, ha assunto il coordinamento di esercito e polizia per la provincia di Guayas ed ha assicurato che entro giovedì 2 aprile tutti i morti sarebbero stati sepolti a Guayaquil, ma la situazione ad oggi resta ancora caotica.
Il primo caso di Covid-19 in Ecuador era stato registrato lo scorso 29 febbraio: una donna asintomatica arrivata dalla Spagna quindici giorni prima. Il 15 marzo il governo decretava lo stato di emergenza sanitaria in tutto il Paese, con quarantena dal 17 marzo. Attualmente è inoltre attuato un coprifuoco dalle ore 14 alle 5 di mattina.
Lo scorso 18 marzo, inoltre, la polizia di Guayaquil aveva tentato di impedire a un volo della Iberia, partito da Madrid, di atterrare all’aeroporto facendo occupare la pista da auto della polizia metropolitana e del Comune guayaquileno come riportato, con tanto di video, dal Corriere della Sera.
Il 13 marzo il quotidiano ecuadoriano Diario Extra aveva pubblicato un articolo dal titolo piuttosto inopportuno per raccontare il decesso di una signora 66enne cittadina dell’Ecuador deceduta vicino Milano a causa del Covid-19: “Muriò en la tierra de la peste” (E’ morta nella terra della peste), riferendosi all’Italia. Purtroppo oggi anche l’Ecuador è diventato terra di peste. Il messaggio deve essere chiaro: il Covid-19 è un nemico globale che può colpire chiunque e ovunque, sono dunque necessarie solidarietà e collaborazione a livello globale contro il nemico invisibile comune.