Il 25 maggio del 2020 Minneapolis era una città ancora normale, dove il coronavirus appariva come la principale preoccupazione, così come del resto in tutti i principali centri degli Stati Uniti. Il Paese in quei frangenti stava vivendo infatti gli ultimi strascichi dell’epidemia, che nella sola New York ha causato migliaia di vittime ma che in tutta la federazione ha stravolto le vite di milioni di persone per via delle drastiche misure di contenimento. Intorno alle 20 di quel giorno, però, il quadro era destinato a cambiare: tra la East 38th Street e la Chicago Avenue della metropoli del Minnesota, un diverbio come tanti altri da lì a breve cambierà il corso della storia recente americana. Quello che sembrava uno scontro verbale tra un poliziotto ed un cittadino afroamericano è infatti diventato una vera e propria miccia in grado di far esplodere la questione razziale negli Stati Uniti.
La vicenda
Protagonisti di quell’iniziale diverbio erano George Floyd e due poliziotti di una pattuglia chiamata dai titolari di un’attività commerciale. Tutto era iniziato intorno alle 20, quando Floyd, cittadino di origini afroamericane, è entrato nel negozio Cup Foods per comprare un pacchetto di sigarette. Uno degli impiegati, dopo il pagamento da parte di Floyd, ha avuto il sospetto che la banconota usata fosse contraffatta. Per questo motivo, notato che l’acquirente era ancora in zona, ha attraversato la strada raggiungendo Floyd in quel momento all’interno del proprio Suv. L’impiegato ha intimato al cittadino afroamericano di ridare subito indietro il pacchetto acquistato, ma questa richiesta è stata immediatamente declinata da Floyd. Per questo motivo, il negoziante ha chiamato un minuto dopo il 911, il numero per le emergenze. La richiesta di intervento è stata registrata alle ore 20:01. Esattamente sette minuti dopo, come documentato dalle telecamere di sorveglianza del ristorante Dragon Wok, è arrivata una prima pattuglia della polizia.
Due agenti, Thomas K. Lane e J. Alexander Kueng, hanno raggiunto Floyd all’interno del suo Suv alle ore 20:09. Lane ha intimato al cittadino fermo dentro la propria autovettura di mettere le mani sul volante: è in questo momento che ha inizio un diverbio, al termine del quale l’agente Lane ha estratto Floyd dal Suv ammanettandolo, dichiarandolo in stato d’arresto per uso di banconota contraffatta. A quel punto, l’agente Kueng ha bloccato Floyd sul marciapiede contro il muro di fronte al ristorante Dragon Wok. Alle 20:14 il cittadino ammanettato è caduto a terra forse per un primo malore. Gli agenti lo hanno quindi aiutato a spostarsi verso la portiera dell’auto. Intanto Lane e Kueng avevano già chiesto l’arrivo di rinforzi. Una seconda auto della Polizia è arrivata alle 20.15, un’altra invece alle 20:17. Su quest’ultima c’erano gli ufficiali Derek Michael Chauvin e Tou Thao. Due minuti più tardi, è stato proprio Chauvin ad entrare in azione, così come mostrato questa volta dalle telecamere di sorveglianza del Cup Foods. Un diverbio, forse dovuto al rifiuto dell’arrestato di entrare nell’auto della Polizia, ha fatto degenerare la situazione.
Alle 20:19 dalle telecamere di sorveglianza si vede Floyd con la faccia a terra sulla strada accanto all’auto della Polizia, con Chauvin che lo blocca tenendo il ginocchio sul collo dell’arrestato. A quel punto la scena è diventata di dominio pubblico: alcuni passanti hanno filmato tutto con i cellulari, mandando in streaming quanto stava accadendo. Si nota, in particolare, Floyd immobilizzato a terra ed impossibilitato a muoversi, con l’ufficiale Chauvin che continuava con il ginocchio a premere sul collo dell’arrestato. Alle 20:22 gli agenti hanno quindi chiamato un’ambulanza, inizialmente con un codice due, poco dopo inoltrando invece la richiesta con codice tre, ossia emergenza. Nei video postati dagli utenti social, è possibile sentire Floyd dichiarare di non riuscire a respirare.
La morte di Floyd
Dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza, così come dai video degli utenti, è stato possibile notare che Floyd ha perso conoscenza intorno alle 20:25. Dopo tre minuti è arrivata l’ambulanza, con i paramedici che hanno esortato l’ufficiale Chauvin a tirare via il ginocchio dal collo di Floyd. I medici hanno soccorso Floyd privo di conoscenza, portando il ferito presso l’Hennepin County Medical Center. Poche ore dopo, il cittadino afroamericano verrà dichiarato morto.
Chi era George Floyd
George Floyd è nato a Houston, in Texas, nel 1974. Al momento della morte avvenuta il 25 maggio scorso dunque, aveva 46 anni. Di origini afroamericane, Floyd è cresciuto nella città texana diplomandosi alla Yates High School nel 1993. Ha seguito l’avventura nella musica hip hop, molto in voga soprattutto a partire dagli anni ’90, aderendo al gruppo Screwed Up Click. Per anni è stato un rapper con lo pseudonimo di “Big Floyd”. Nel suo passato anche guai con la giustizia: nel 2009 infatti, contro di lui risulta una condanna a 5 anni per rapina aggravata. Il suo trasferimento in Minnesota è arrivato nel 2014: qui ha iniziato a risiedere a St. Louis Park, lavorando a Minneapolis come buttafuori in un ristorante. Un lavoro durato cinque anni ed interrotto di recente per via della chiusura dell’attività a cause delle norme anti coronavirus. Floyd era quindi uno dei tanti nuovi disoccupati ritrovatisi senza lavoro negli Usa a causa della pandemia. La vittima della vicenda sopra narrata aveva due figli: Quincy Mason Floyd di 22 anni e Gianna Floyd di 6 anni.
L’inizio delle proteste
La diffusione dei video in cui il poliziotto Derek Michael Chauvin ha tenuto il ginocchio schiacciato sul collo di Floyd, circostanza probabilmente all’origine della morte dell’arrestato, ha da subito suscitano notevole indignazione. Negli Stati Uniti il caso è diventato mediatico e politico già il 26 maggio, con gli argomenti relativi al coronavirus passati improvvisamente in secondo piano. Per questo sono subito state organizzate numerose proteste, soprattutto dalla comunità afroamericana sia di Minneapolis che di altre città statunitensi. Infatti, il gesto di Chauvin è stato interpretato come un episodio razzista e portato avanti appositamente contro una persona di origine afroamericana.

Numerosi cortei sono stati organizzati in tutte le principali metropoli del Paese, sui social è divampata la polemica circa gli episodi di razzismo perpetuati dalla Polizia americana anche negli anni precedenti. L’episodio di Minneapolis infatti ha ricordato molto da vicino quanto accaduto a Ferguson nel 2014, quando un poliziotto ha sparato ed ucciso Michael Brown, giovane afroamericano disarmato la cui morte ha innescato diversi giorni di violente proteste. Il 27 maggio a Los Angeles si è tenuta una grande manifestazione organizzata dal movimento Black Lives Matter. Anche se il carattere delle prime proteste è stato pacifico, tuttavia non sono mancate tensioni e gli Stati Uniti hanno iniziato a vivere con il terrore di scivolare nuovamente in una spirale di violenza.
Le indagini
Subito dopo la diffusione delle immagini dell’azione della Polizia, il sindaco di Minneapolis Jacob Frey ha dichiarato illegale la manovra d’arresto dei quattro agenti coinvolti. Per questo, è stato quindi disposto il licenziamento degli ufficiali Thomas K. Lane, J. Alexander Kueng, Tou Thao e Derek Michael Chauvin. Quest’ultimo, autore dell’azione probabilmente fatale per George Floyd, è stato anche arrestato con l’accusa di omicidio. Il 30 maggio sono stati resi noti i risultati di una prima autopsia sul corpo della vittima, secondo cui non erano presenti segni di asfissia o strangolamento tali da essere potenzialmente compromettenti per la vita dell’uomo. Tuttavia, dall’Hennepin County Medical Center è stato anche specificato che Floyd aveva alcune patologie pregresse quali ipertensione cardiaca e disturbi alle arterie coronarie. Dunque, è possibile che la manovra di Chauvin possa comunque aver inciso nel peggioramento di queste patologie e nel renderle fatali per Floyd.
La famiglia della vittima ha comunque ufficialmente dichiarato di non ritenere attendibili gli esiti di questa autopsia, predisponendone una nuova curata privatamente e seguita da altri medici. Gli esiti questa volta avrebbero confermato l’asfissia causata dallo schiacciamento del ginocchio di Chauvin come causa principale del decesso. Il poliziotto autore della manovra d’arresto incriminata è stato posto in una cella di isolamento video sorvegliata, in quanto nei giorni successivi l’incriminazione avrebbe tentato il suicidio.
Il 4 giugno intanto, ad essere incriminati sono stati anche i poliziotti Thao, Lane e Kueng: per loro è scattato lo stato di arresto con l’accusa di omicidio di secondo grado. Contestualmente, è cambiata anche l’accusa per Chauvin, che passa da omicidio di terzo grado ad omicidio di secondo grado. Nelle settimane successive alla morte di Floyd, è stato anche rivelato che dai test eseguiti sul suo corpo si è scoperto che la vittima risultava positiva al coronavirus.
Gli Stati Uniti in preda ai disordini
I timori circa nuovi scontri si sono ben presto rivelati purtroppo fondati. Le manifestazioni inizialmente pacifiche, sono degenerate in episodi di violenza e saccheggio che non ha risparmiato alcuna grande metropoli americana. Gli slogan volti ad ottenere giustizia, sono stati poi coperti dai rumori dei disordini e degli scontri in molte delle più importanti vie delle città statunitensi. A destare maggiore allarme, sono stati soprattutto i saccheggi compiuti a margine delle manifestazioni. Interi negozi sono stati razziati, vetrine di abbigliamento, così come concessionarie di auto e banche sono state distrutte e dati alle fiamme. Una tensione quindi che è andata ben oltre la singola protesta ed il singolo caso di Minneapolis, sfociata in atti di violenza e di disordine che hanno mostrato i lembi più vulnerabili e delicati della società Usa.
Le violenze hanno anche causato delle vittime, sia tra manifestanti che tra gli agenti di Polizia. Inoltre, in quei centri dove per giorni la situazione è apparsa fuori controllo, ad essere presi di mira sono stati soprattutto i negozianti, in alcuni casi sono emersi video anche di pestaggi o linciaggi nei confronti di chi provava a difendere la propria attività. Un clima che ha evocato gli spettri, come sottolineato su InsideOver, di quanto evocato sul finire degli anni ’70 dai Turner Diaries, la cui edizione italiana è stata intitolata con l’emblematico titolo di “La seconda guerra civile americana“.
Il coprifuoco nelle più grandi città
Tra la fine di maggio e gli inizi di giugno tutto è sembrato oramai degenerare. Continui saccheggi e continue violenze, hanno ben presto cancellato il coronavirus dai titoli dei principali network e, al contempo, hanno fatto sprofondare gli Usa in un contesto di guerriglia urbana diffusa che non si vedeva da diversi decenni. A dare un’idea del livello attuale di violenza negli Stati Uniti, è stato l’episodio del 2 giugno a St. Louis, lì dove un ex poliziotto in pensione è stato malmenato ed ucciso all’interno di un locale appena saccheggiato ed il suo corpo è stato mostrato anche sui social. La tensione è arrivata anche a pochi passi dalla Casa Bianca, con i fumi degli incendi delle proteste e dei saccheggi ben visibili anche dallo studio del presidente Donald Trump. Quest’ultimo ha promesso linea dura contro tutti i violenti, richiamando la norma dell’Insurrection Act del 1807, la quale conferisce a un presidente il potere di dispiegare militari all’interno del territorio degli Stati Uniti in caso di emergenza.
In diversi Stati la Guardia Nazionale è stata già resa operativa per provare a sedare le proteste e calmare la situazione. Tra questi, a spiccare è il Minnesota, ma anche New York, Florida, California, Georgia e Texas, tra gli altri, hanno già visto l’impiego della Guardia Nazionale. In molte metropoli dal 1 giugno è in vigore il coprifuoco notturno, misura che ben certifica il livello di tensione attuale. Il tutto a pochi mesi dalle presidenziali di novembre, già segnate da quanto accaduto nelle ultime settimane per via dell’epidemia da coronavirus.
Il caso Seattle
Un episodio emblematico della situazione negli Stati Uniti a seguito dello scoppio delle proteste per la morte di Floyd, è rappresentato da quanto accaduto nel quartiere Capitol Hill di Seattle. Nella metropoli dello Stato di Washington, una delle più importanti situate lungo la costa del Pacifico degli Stati Uniti, i manifestanti hanno letteralmente preso possesso del quartiere, scalzando le forze di Polizia. A comandare all’interno di questa zona, posta poco al di fuori dal centro cittadino, sono stati i principali gruppi di manifestanti che hanno animato le piazze in tutto il Paese: Black Lives Matter, Antifa ed altre organizzazioni della sinistra radicale.
L’occupazione di Capitol Hill in linea di principio doveva rappresentare un “esperimento”: l’obiettivo era dimostrare la possibilità di autogovernare la città, senza la presenza di autorità tanto civili quanto di sicurezza. Tuttavia, il progetto si è rivelato un vero fallimento: nel quartiere di Seattle occupato sono stati registrati diversi omicidi, un aumento non indifferente nel numero di reati anche gravi, quali abusi e stupri, nonché in generale una situazione del tutto fuori controllo e dove paradossalmente le stesse minoranze etniche presenti sono diventate maggiormente vulnerabili. L’occupazione è durata circa 20 giorni, ad inizio luglio il sindaco democratico Jenny Durkan ha ordinato alla Polizia di riprendere il controllo degli isolati autogestiti dai manifestanti.
Una volta terminate le operazioni di sgombero da parte dei poliziotti, la realtà emersa è quella di un degrado importante, con intere strade devastate, immondizia presente ovunque ed abitazioni saccheggiate, vandalizzate o danneggiate. Le testimonianze raccolte nei giorni successivi hanno parlato di un autentico inferno senza legge, dove abusi e furti erano all’ordine del giorno e dove l’autogestione declamata dai manifestanti si è rivelata un fiasco in ogni aspetto, compreso quello economico.
L’abbattimento delle statue
Una piaga discutibile presa dalle manifestazioni successive alla morte di Floyd, anch’essa espressione del caos imperante negli Stati Uniti, riguarda l’abbattimento di numerose statue in tutto il Paese ad opera dei gruppi impegnati nelle proteste. Qualsiasi raffigurazione simbolica di personaggi accusati di essere stati schiavisti o tacciati di razzismo, è stata presa di mira ed in alcuni casi anche abbattuta. E questo non soltanto negli Stati Uniti, ma anche nel Regno Unito: emblematica in tal senso la necessità di dover proteggere e blindare a Londra la statua dedicata a Wiston Churchill, contro la quale i manifestanti avevano promesso danneggiamenti durante una marcia di protesta. Il presidente Trump ha condannato l’oltraggio nei confronti delle statue e dei simboli presi di mira, promettendo misure severe e dieci anni di carcere contro gli autori di questi atti.
La condanna del poliziotto Derek Michael Chauvin
Il caso Floyd è tornato alla ribalta nell’aprile del 2021. Rispetto a un anno prima gli Stati Uniti hanno subito profondi mutamenti politici: alla Casa Bianca siede adesso il presidente Joe Biden, con l’intero Paese stravolto sia dall’emergenza coronavirus che dall’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021.
In questo contesto si è sviluppata la parte finale del processo contro il principale indiziato, ossia il poliziotto Derek Michael Chauvin. Il 20 aprile è arrivato il verdetto: l’ex agente di Minneapolis è stato ritenuto colpevole per tutti e tre i capi di accusa a lui imputati, ossia omicidio colposo, omicidio di secondo grado preterintenzionale e omicidio di terzo grado. Nelle settimane successive è attesa la motivazione del verdetto, così come gli anni di condanna spettanti a Chauvin.
La lettura della sentenza è stata contrassegnata da una vigilia molto tesa: a Minneapolis, così come nelle principali città statunitensi, sono stati rafforzati controlli e presidi della Polizia per evitare lo scoppio di nuovi eventuali disordini. Lo stesso presidente Biden ha parlato alla nazione poche ore dopo il verdetto, invocando unità nella lotta contro il razzismo.