L’Uganda è uno dei Paesi al mondo più repressivi per quel che riguarda l’omosessualità. L’amore e le relazioni sessuali tra persone delle stesso sesso sono severamente puniti dal governo di Kampala tanto che le pene per le persone gay e i membri della comunità Lgbt comprendono anche la detenzione a vita. In queste ore gli attivisti ugandesi che si battono per i diritti degli omosessuali, nell’occhio del mirino delle forze governative e in molti costretti a vivere in clandestinità, lanciano un grido d’allarme: ”lo Stato sta strumentalizzando l’emergenza coronavirus per compiere arresti e gettare ulteriore fango sul mondo omosessuale”. Tutto ha avuto inizio quando domenica 29 marzo 20 persone appartenenti al mondo LGBT di Kampala sono state arrestate dalla polizia. Quattordici uomini gay, due persone bisessuali e quattro transgender sono stati arrestati dalla polizia ugandese che ha fatto irruzione in un appartamento alla periferia della capitale dello stato africano. Stando alle dichiarazioni del portavoce della Polizia ugandese Patrick Onyango non ci sarebbero ragioni legate all’orientamento sessuale nei motivi che hanno condotto all’irruzione, e all’agenzia di stampa Reuters l’uomo si è infatti così espresso: ”Gli arrestati hanno disobbedito alle leggi che impongono il distanziamento e non c’è alcuna ragione di genere alla base dell’intervento”. Anche se poi incalzato dalle domande ha aggiunto: ”Nei nostri codici di legge c’è il capo di imputazione per il sesso contro natura. Noi potremmo accusarli anche di questo ma al momento sono incriminati per aver violato le norme di prevenzione in tema di coronavirus”. Parole che subito hanno destato indignazione e sollevato le proteste nel mondo Lgbt ugandese. Come riportato dal quotidiano The Guardian, Frank Mugisha, direttore esecutivo dell’organizzazione Sexual Minorities Uganda, si è così espresso in merito: “Gli arresti sono un chiaro caso di discriminazione contro la comunità Lgbt”. Aggiungendo che il blitz è avvenuto dopo che i vicini avevano denunciato la presenza nell’appartamento di persone omosessuali e che tutti i 20 detenuti erano in una casa privata e che si conoscevano tutti: “Ora verranno portati in prigione dove saranno più a rischio sotto ogni punto di vista”.

Le persone arrestate sono in custodia cautelare e finiranno alla sbarra il 29 aprile, per loro al momento i capi di imputazione sono disobbedienza all’ordine legittimo e atti negligenti che potrebbero diffondere l’infezione della malattia e al momento le pene potrebbero andare dai 2 ai 7 anni, la situazione si potrebbe inasprire se la corte strumentalizzasse la loro sessualità come aggravante. Patricia Kimera, avvocato del Forum per la sensibilizzazione e la promozione dei diritti umani, che difende gli imputati si è così espresso a riguardo: ”Vengono sempre utilizzate accuse alternative per arrestare le persone per reati definiti ”contronatura”, quindi il coronavirus ha funzionato perfettamente come pretesto per incarcerali “, e poi ha chiosato: “Ma sicuramente il motivo per cui sono stati arrestati è il loro orientamento sessuale”.

Questo episodio ha scoperchiato un vaso di pandora e molte sono state le denunce, per lo più anonime, da parte di attivisti del mondo Lgbt che hanno accusato istituzioni e personalità governative ugandesi di usare l’emergenza dettata dal Coronavirus per gettare fango e odio sulla comunità omosessuale E c’è chi si è spinto anche a incolpare gay, transgender e bisessuali di essere loro la causa del contagio, accuse gravissime e infondate che rischiano però, in un momento di allerta e tensione di innestare una vera e propria caccia all’untore identificabile in questo caso con omosessuali e transgender.

Azioni di questo tipo, in Africa, nelle ultime ore non hanno riguardato unicamente l’Uganda. Amin Bonsu, presidente della Ghana Muslim Mission, la più importante organizzazione sunnita del Ghana, ha diramato il 25 marzo un comunicato in cinque punti , in occasione della Giornata nazionale di preghiera, per domandare a “Dio di proteggere la nostra nazione e salvarci da questa pandemia”. Nel quarto punto viene affermato: “È importante per noi riconoscere i nostri peccati contro il mondo, in particolare gli atti più abominevoli come omosessualità, lesbismo, transgenderismo, distruzione di bacini idrici e foreste”. E in Sudafrica il Reverendo Oscar Bougardt ha scritto su Facebook il 26 marzo: “Secondo me questa pestilenza chiamata Covid-19 è l’ira di Dio su questo mondo malvagio. I nostri governi sono malvagi, disturbano l’ordine di Dio consentendo e legalizzando i matrimoni dello stesso sesso e l’omosessualità”. E poi ha aggiunto: “Bene, ci siamo, entrando in un lockdown di 21 giorni, vediamo quante coppie dello stesso sesso saranno in grado di procreare e quante coppie eterosessuali usciranno in attesa di bambini. Un grande zero per le coppie dello stesso sesso. Non possono procreare anche se il governo li mette in un blocco di 21 giorni, stanno disturbando l’ordine di Dio”. Dichiarazioni violente e feroci che rischiano però di non essere soltanto delle esternazioni offensive e lesive della dignità e del rispetto del mondo omosessuale ma posso diventare un appello, non tanto celato, ad atti di violenza contro persone Lgbt, sopratutto in un momento in cui la paura può divenire il detonatore di psicosi e isteria che nell’odio e nella violenza trovano la loro valvola di sfogo.

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