“Medici e infermieri lavorano senza sosta. Anche il turno di mezzanotte è totalmente coperto. Siamo circondati da pazienti che tossiscono accanto a noi per tutta la notte”. I racconti dei dottori cinesi impegnati nella lotta contro il Coronavirus sono strazianti. Negli ospedali cinesi, infatti, si sono riversate migliaia di persone terrorizzate: c’è chi tossisce e sa di esser stato toccato dal morbo e chi invece, pur godendo di buona salute, vive l’incubo di un finto contagio. In mezzo a questa roulette russa della malattia, ci sono i medici che cercano di fare il possibile, nonostante le file di pazienti che sembrano non finire mai: “Ne ho sentito uno in coda – racconta un dottore al South China Morning Post – dire che aveva aspettato così a lungo che voleva pugnalarci. Sono preoccupato. Uccidere alcuni di noi non ridurrà la coda, giusto?”.
La situazione all’interno degli ospedali cinesi è sempre più difficile, soprattutto dopo la giornata di ieri quando il numero totale dei decessi ha toccato quota 259 e sono stati registrati 11.791 casi di contagio. Numeri da prendere con le pinze, ovviamente, perché è sempre difficile comprendere ciò che sta accadendo nel celeste impero. Una stima di The Lancet afferma infatti che le persone colpite dal virus sarebbero oltre 75mila.
Ma come è stato possibile arrivare a questo? Qualcosa non ha funzionato nel sistema cinese? O, peggio, a Pechino hanno deciso di insabbiare tutto? Per cercare di fare chiarezza – e sgombrare il campo da inutili allarmismi – è necessario ripercorrere i fatti più importanti dell’ultimo mese, quando si è cominciato a parlare di una “misteriosa malattia”, all’epoca si parlava di una polmonite virale, che si stava cominciando ad espandere nel Paese del Dragone.
L’allarme di Li Weliang
Il 30 dicembre, Li Weliang, un oftalmologo di 34 anni dell’ospedale di Wuhan scrive su un gruppo wechat a cui sono iscritti 150 studenti di medicina: “Confermati sette casi di Sars provenienti dal mercato di frutta e pesce. I pazienti sono isolati nella sala d’emergenza”. A corredo del messaggio, il medico posta la foto dei polmoni di alcuni pazienti. Poi qualcuno, per ora non è ancora dato sapere chi, scrive: “Stai attento, il nostro gruppo wechat potrebbe essere cancellato”. Passa il tempo e alla fine è ancora Li a parlare e non lascia spazio ai dubbi: “Confermato che si tratta di coronavirus, ora stiamo cercando di identificarlo, fate attenzione, proteggete le vostre famiglie”.
Qualcuno fa lo screenshot a questa conversazione, che comincia a girare sui social cinesi. Li Weliang finisce così nel mirino delle autorità cinesi. Nello stesso giorno, infatti, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan aveva pubblicato un avviso in cui vietava a tutte le persone non autorizzate a diffondere informazioni su ciò che stava accadendo all’interno dell’ospedale.
Il 3 gennaio la polizia bussa alla sua porta e gli sottopone una “nota di ammonizione” in cui, come sintetizza La Stampa, lo si accusa apertamente di aver creato il panico in tutto il Paese: “Stai diffondendo parole non veritiere in rete. Il tuo comportamento ha gravemente disturbato l’ ordine sociale. Hai violato il regolamento dell’ amministrazione della pubblica sicurezza”.
In realtà, l’obiettivo di Li Weliang era un altro, come testimonia anche un’intervista concessa a Caixin: “Ho detto agli studenti di non spargere la voce, ma volevo solo ricordare loro di prestazione maggiore attenzione in ospedale”. Ma non solo. Gli screenshot diffusi in rete non sarebbero completi in quanto l’oftalmologo, questa è la sua versione, dopo aver parlato dei sette casi di Sars, stava per digitare che si trattava di coronavirus, come poi in effetti farà: “Mi sento sfortunato e potrei essere punito”, dice Li nell’intervista citata.
La Cina ha quindi cercato, almeno in questo caso, di nascondere ciò che stava accadendo?
Pechino e l’emergenza Coronavirus
Secondo la rivista specializzata Lancet, “le autorità sanitarie cinesi hanno condotto un’indagine immediata per caratterizzare e controllare la malattia, compreso l’isolamento delle persone sospettate di avere la malattia”. Non solo: avrebbero anche svolto un attento monitoraggio dei contatti, raccolto dati epidemiologici e clinici dai pazienti e sviluppato procedure diagnostiche e terapeutiche. Già nella prima settimana di gennaio, il 7 di quel mese per la precisione, gli scienziati cinesi sono riusciti a isolare il virus.
Nel frattempo, però, la situazione è precipitata e si sono registrati casi in 32 province, tra cui Hong Kong, Macao e Taiwan, e si comprende che il virus si trasmette anche da uomo a uomo.