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Con il meccanismo di serrata messo in campo dall’Occidente – e non solo – per contrastare la diffusione della pandemia di coronavirus, la popolazione è stata messa nella condizione di affrontare una quotidianità differente e in molti casi fatta di rinunce e di ristrettezze. Mentre però per qualcuno si è “limitato” ad essere un confinamento domestico mentre è stata mantenuta la sua possibilità di lavorare – sia nella formula di lavoro agile sia recandosi sul posto di impiego – per altri si è tradotto nella perdita del lavoro o nella cassa integrazione a tempo indeterminato. In una situazione in cui non si ha accesso ad un ingente quantitativo di risparmi, ciò si è purtroppo tradotto con un peggioramento dello stile di vita e con il dover fare i conti non con la fine del mese, ma con la fine del confino: e in questa situazione di estrema indeterminazione ciò è diventato ancora più problematico. A patirne, ovviamente, sono state le classi già meno agiate, accrescendo le già precedenti disparità sociali con i ceti più abbienti.

L’alienazione e le condizioni di vita nelle periferie

È per via di questi motivi che l’isolamento e la serrata lavorativa hanno colpito particolarmente le periferie della città, dove lo stile di vita è peggiorato ulteriormente con l’introduzione delle restrizioni. Come messo in evidenza dal quotidiano francese Le Monde relativamente alla Francia, nelle banlieue si può percepire a colpo d’occhio il disagio in cui vive la popolazione. Spesso confinato in abitazioni sovraffollate e anguste, che non sono assolutamente il regno della pulizia, e privato delle proprie entrate, il popolo delle periferie si è trovato spiazzato dagli eventi.

Le conseguenze, esattamente come il disagio, sono percepibili anche ad un meno attento osservatore: alienazione dalla società e povertà aggregata incrementata a livelli forse senza precedenti. E in questa situazione, anche interventi statali diretti diventano quanto mai difficili a causa delle tempistiche sbagliate con cui si è agito, soprattutto negli anni passati; in una situazione che non interessa la sola Francia ma è valida per la totalità dell’Unione europea.

Le industrie non producono

La contrazione della propensione al consumo della parte più povera – ma numerosa – della popolazione è destinata però a causare non soltanto problemi alle famiglie: anche il commercio subirà un arresto dei consumi a causa delle minori possibilità di spesa. E in uno scenario dove la ripartenza è già soggetta all’incertezza degli stock invenduti ancora presenti sul mercato, la ripresa delle produzioni pare destinata a essere posticipata ulteriormente. Ma senza produzioni e senza lavoro anche le retribuzioni sono ferme, in un circolo vizioso che sembra quanto mai simile alla grande depressione del 1929 – e dura sentenza di sofferenze per molti anni ancora a venire.

Così però si rischiano tensioni sociali

L’aumento delle disuguaglianze sociali porta però anche alla conseguenza di un incremento delle tensioni tra la popolazione più agiata e quella che vive in condizioni meno favorevoli. Come in ogni situazione di crisi, infatti, i ceti più ricchi avranno più facilità di accumulo grazie alle proprie capacità di investimento, mentre a chi ha perso il lavoro – nella migliore delle ipotesi – spetta qualche spicciolo dal sistema di welfare nazionale. Come già sottolineato dal Fondo monetario internazionale, per congiurare questa possibilità è necessario che gli Stati adottino misure volte a limitare l’allargamento della forbice di ricchezza, almeno per il periodo in cui è necessario dare impulso ai consumi per permettere al mercato di ripartire, insieme all’offerta di lavoro. Altrimenti, in caso contrario, sarà solo questione di tempo prima che le cose possano iniziare a degenerare in una nuova stagione di rivolte sociali.

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