Non è soltanto a causa di un diverso sistema politico e un differente humus culturale che la Cina sta riuscendo a gestire l’emergenza coronavirus in un modo nettamente migliore di quanto non stiano facendo i Paesi occidentali. E non c’entrano neppure le presunte ambiguità contenute nei bollettini sanitari diffusi quotidianamente dal governo cinese. Documenti che spesso, accanto alla voce nuovi casi, riportano cifre al di sotto delle venti unità su una popolazione di 1,4 miliardi di persone. Dati falsati? Non sembrerebbe, almeno a giudicare da quanto accaduto durante la Golden Week, la settimana di festa che ha contraddistinto i primi otto giorni di ottobre.

In questa breve parentesi si sono registrati 637 milioni di viaggi interni, a conferma che il rischio di diffondere il virus al di là della Muraglia è pressoché nullo. Un aspetto molto spesso trascurato, al netto dei penetranti sistemi di tracciamento e della mobilitazione cittadina favorita dalle cellule del Partito Comunista cinese, riguarda la modalità impiegata dalla Cina per analizzare un immenso numero di tamponi in un lasso di tempo irrisorio. Si chiama batch testing, ed è lo stesso approccio che le autorità locali hanno impiegato, con risultati eccellenti, tanto a Wuhan quanto, più recentemente, nella città di Qingdao.

La chiave del successo

Per spegnere un focolaio di Covid-19 è necessario agire tempestivamente. Due sono le linee guida seguite dalle autorità cinesi. La prima: ridurre al minimo – se non interrompere – ogni contatto sociale tra i cittadini entro i perimetri della zona rossa in questione. La seconda: testare tutte le persone che vivono nella red zone, così da scovare ciascun paziente positivo. Asintomatici e pauci-sintomatici compresi. A quel punto sarà più facile capire come e dove intervenire, considerando tuttavia che in Cina, a differenza di molti altri Paesi, gli asintomatici vengono trattati e monitorati attentamente finché non si negativizzano.

Detto altrimenti, i cinesi sono riusciti a portare il metodo delle 3T (testare, tracciare, trattare) a un livello maniacale. Non appena si sviluppa un focolaio, le autorità isolano la zona interessata e testano l’intera popolazione. A quel punto milioni e milioni di abitanti vengono “analizzati” in pochissimi giorni. Il gioco è fatto: le autorità sanitarie tracciano i contatti avuti tra gli infetti e gli altri cittadini, e trattano ciascun positivo a seconda della gravità del suo quadro clinico.

Il batch testing

A fare la differenza è il metodo del batch testing. Prelevare i tamponi è tutto sommato semplice. L’impresa diventa ardua quando si tratta di processarli nel giro di poche ore. Giusto per fare un paragone, anche se in Italia riuscissimo ad effettuare un milione di tamponi al dì, i laboratori non sarebbero mai in grado di analizzarli in breve tempo. La Cina ha bypassato il problema (un problema ancor più grande del nostro, considerando che le città cinesi contano decine di milioni di abitanti) usando il batch testing.

Si tratta di un metodo che combina in un unico lotto una decina di campioni dei test alla volta (un numero compreso da 5 a 10). Soltanto se uno dei campioni del lotto in questione risulta positivo, allora tutte le persone i cui campioni fanno parte di quel lotto verranno messe in quarantena e testate individualmente. Adottando questa tecnica gli operatori sanitari cinesi sono stati in grado di valutare fino a 10 campioni contemporaneamente, approfondendo le indagini esclusivamente sui lotti che contenevano un positivo. In altre parole, l’analisi viene effettuata sul lotto e non sui singoli campioni. Questo secondo step avviene soltanto se un lotto dovesse risultare positivo.

Il raggruppamento dei campioni consente di effettuare più test con i kit esistenti fornendo una sufficiente accuratezza diagnostica. Alcuni esperti hanno però evidenziato come questo metodo sia efficiente per testare un elevato numero di persone i cui livelli di infezione sono bassi. Se così non fosse, infatti, la maggior parte dei lotti produrrebbe esito positivo e sarebbe necessario effettuare test singoli. Per Peng Zhiyong, direttore dell’unità di terapia intensiva presso l’ospedale di Wuhan Zhongnan, il metodo sarebbe efficace solo quando il tasso di infezione è inferiore all’1%.

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