La situazione è più grave del previsto. Il nuovo focolaio di Covid-19 individuato nel mercato di Xinfadi, a Pechino, ha costretto le autorità cinesi a entrare in “modalità di guerra” per prevenire una nuova Wuhan. Negli ultimi quattro giorni sono stati riscontrati 106 casi: quanto basta per avere tra le mani una situazione “estremamente grave” a due passi dai palazzi del potere.

Nel tentativo di arginare, o quanto meno limitare, il focolaio, ben 29 comunità situate nei pressi del distretto meridionale di Fengtai sono state isolate. “Dobbiamo prendere la prevenzione e il controllo dell’epidemia come il compito più importante e urgente al momento”, hanno affermato i funzionari. La municipalità di Pechino lancerà una campagna di ispezione e sanificazione di mercati all’ingrosso, mercati di ortaggi, ristoranti e mense estesa all’intero perimetro della capitale.

Intanto i venditori e gli operatori aziendali saranno tutti sottoposti a test dell’acido nucleico. Le scuole saranno di nuovo chiuse. La popolazione è incoraggiata a lavorare da casa, ma la produzione non verrà fermata. Il governo municipale ha inoltre chiesto ai residenti di indossare mascherine in luoghi affollati e chiusi e ha imposto test a chiunque sia intenzionato a lasciare la città.

Il giallo del mercato di Xinfadi

Questa, dunque, è la situazione a Pechino. Ma per quale motivo si è creato un focolaio del genere nella capitale cinese? Forse la macchina della prevenzione cinese si è inceppata, non rilevando la presenza di un cittadino malato che ha poi diffuso il virus nel mercato di Xinfadi? O forse, questa volta, la causa non è la trasmissione da uomo a uomo ma una contaminazione ambientale?

Le ipotesi sono tutte lì sul tavolo, come ha scritto in un tweet il quotidiano cinese Global Times, che ha citato quanto dichiarato dal governo municipale di Pechino. I riflettori non sono puntati sul pangolino o qualche altro animale selvatico. Si pensa che i prodotti venduti al mercato siano stati contaminati da un tagliere usato per il salmone, ipotesi che ha portato i principali supermercati delle città di tutta la Cina a rimuovere il pesce dagli scaffali.

Anzi: la Cina è arrivata addirittura al punto di sospendere tutte le importazioni di salmone. Secondo quanto riferisce Reuters, infatti, il gigante asiatico ha interrotto le importazioni dai fornitori europei di salmoni per paura di un loro collegamento al focolaio di Covid-19.

Le importazioni di salmone

Gli esperti affermano che è improbabile che il pesce possa essere il portatore della malattia. Eppure la Cina non ha intenzione di correre alcun rischio. Norway Royal Salmon e Bakkafrost, due aziende che erano solite rifornire Pechino di salmone, hanno annunciato di aver interrotto tutte le vendite.

Ancora non sappiamo come abbia fatto il virus a penetrare nel mercato di Xinfadi. Dalle prime indiscrezioni, in base alle tracce genetiche rinvenute sul “luogo del delitto”, pare che il nemico invisibile possa essere arrivato dall’Europa. Il principale sospettato? Il salmone, che la Cina importa congelato, tra gli altri, da Australia, Norvegia, Cile, Isole Faroe e Canada.

Ricordiamo che nell’ex Impero di Mezzo il mercato cinese del salmone ha sfondato il tetto dei 700 milioni di dollari. E che le importazioni cinesi di salmone ammontano al 5% delle importazioni globali. In attesa di ulteriori indagini, il Dragone ha detto basta al salmone.

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