Tre siti contaminati dai batteri responsabili della peste bubbonica sono stati individuati in Cina dalle autorità sanitarie della Mongolia Interna e disinfettati. L’intervento delle autorità cinesi è stato tempestivo, dopo il piccolo focolaio che si era venuto a creare in questa sperduta regione autonoma, confinante con Russia e Mongolia.
L’unico sito menzionato dalla Commissione per la salute della Mongolia Interna è stato il comune di Wengeng, nella città-prefettura di Bayannur. Si tratta, tra l’altro, dello stesso luogo in cui viveva il primo paziente contagiato dell’area, un pastore locale entrato probabilmente in contatto con un animale infetto. Un secondo caso sospetto, hanno affermato i media, riguarderebbe invece un giovane entrato in contatto con una marmotta cacciata da un cane.
In realtà Fu Ruifeng, vicedirettore della Commissione per la salute della Mongolia Interna, non ha parlato espressamente di marmotte bensì, più genericamente, di ratti. A Wengeng, il 18 giugno, sarebbero infatti stati scoperti quattro ratti morti, successivamente trovati infettati da Yersina pestis, niente meno che il “batterio della peste”. Per quanto riguarda gli altri due siti, come detto, non sono stati menzionati.
Una pratica pericolosa
La disinfestazione è stata effettuata utilizzando aerei per diffondere disinfestanti. Per spegnere i focolai è stato necessario uccidere le pulci, le quali possono fare da veicolo di trasmissione per i batteri. Marmotte e ratti, infatti, possono essere infestati dalle pulci. In un secondo momento, consumando la loro carne o maneggiandone le pellicce senza le giuste precauzioni, gli esseri umani possono essere facilmente contagiati dallo Yersinia pestis.
La trasmissione fra uomini avviene in più modi, a seconda del tipo di peste. Nel caso della peste polmonare, ad esempio, vale quanto ormai abbiamo imparato per il Sars-CoV-2 (droplet e aerosol), mentre in quella bubbonica il contagio avviene solo se si entra in contatto con le parti lesionate del paziente infetto. L’intervento delle pulci, soprattutto in aree rurali, complica ulteriormente lo scenario.
In apprensione, proprio come la Mongolia Interna cinese, anche la Mongolia. Il contesto è simile: da queste parti cacciare le marmotte è una pratica comune, quanto teoricamente pericolosa. L’ambasciata russa in Mongolia, scrive l’agenzia Ria Novosti, citata dalla Cnn, ha spiegato che “ci sono focolai naturali di peste in Mongolia” e che “la malattia è diffusa dai tarbagan”, ovvero le marmotte mongole. “Il problema è che i residenti locali, nonostante tutti i divieti e le raccomandazioni delle autorità, continuano a cacciarle e mangiarle, poiché si tratta di una prelibatezza del posto”, ha aggiunto la sede diplomatica.
Le autorità (e l’Oms) rassicurano: nessun rischio
Alla luce di quanto accade in Mongolia Interna, c’è da preoccuparsi per una possibile epidemia di peste su larga scala? La risposta delle autorità è una: non vi è alcuna minaccia. Secondo quanto dichiarato dall’Organizzazione mondiale della Sanità, il recente scoppio di un apparente focolaio di peste bubbonica in Cina è “ben gestito” e non è considerato a rischio elevato.
“Stiamo monitorando la situazione in Cina, la stiamo osservando da vicino e in collaborazione con le autorità cinesi e mongole”, ha detto la portavoce dell’Oms, Margaret Harris ,durante un incontro con la stampa a Ginevra. “Al momento non stiamo considerando l’episodio ad alto rischio, ma stiamo monitorando attentamente la situazione”, ha aggiunto.
Altri esperti affermano che la malattia è endemica, e che dunque si verifica solo in alcune aree circoscritte. “Di solito si trova tra gli animali in aree remote. Le persone staranno bene se non si recano in queste aree e se la trasmissione è contenuta nell’area infetta”, ha spiegato Xu Xiaoyuan, vicidirettore del Dipartimento di malattie infettive del primo ospedale dell’Università di Pechino.