In Cina è esploso un preoccupante focolaio di Covid. La stampa nazionale lo ha definito “il più esteso dopo Wuhan”, giusto per far capire ai cittadini l’entità della minaccia. L’epicentro è stato localizzato a Nanchino, precisamente all’interno del Nanjing Lukou International Airport, l’aeroporto internazionale della città situata nella provincia dello Jiangsu.

I primi casi Covid erano stati segnalati intorno al 20 luglio. Nel giro di una settimana, il cluster aeroportuale avrebbe causato 15 infezioni, presto moltiplicatesi in tutto il Paese. Casi legati al focolaio sono stati infatti segnalati in cinque province cinesi e nella capitale Pechino. Adesso l’ammontare dei contagi sfiora le 200 unità, e le autorità sono preoccupate per le possibili conseguenze sanitarie.

Il motivo è presto detto: rispetto ai precedenti cluster locali, limitati a una città o, al massimo, a poche città vicine, “l’epidemia di Nanchino si è verificata in un aeroporto internazionale molto trafficato e i passeggeri transregionali che viaggiavano per lunghe distanze hanno rapidamente portato il virus in tutto il Paese”, ha scritto il quotidiano cinese Global Times. Tutti i voli da e per Nanchino sono stati sospesi, mentre gli amministratori locali hanno avviato il terzo screening di massa sugli oltre 9,3 milioni di abitanti, con l’obiettivo di scovare i positivi e isolarli, in modo tale da stroncare la diffusione dei contagi.

Un focolaio diverso dal solito

Il focolaio contro il quale sta combattendo la Cina non si è sviluppato in una megalopoli o in un ospedale, ma dentro uno degli aeroporti più trafficati del Paese. Questo ha comportato una diffusione del virus in più province, con il rischio di una ripresa epidemiologica in tutta la nazione. Non a caso, soggetti positivi collegati con il cluster di Nanchino sono stati registrati nel Guandong, Anhui, Sichuan e nel Liaoning, Cina nordorientale.

Come se non bastasse, si ritiene che Zhangjiajie, un popolare sito turistico della provincia di Hunan, celebre per le riprese del film Avatar, possa essere un altro nodo chiave nella catena dell’infezione. Già, perché lo scorso 22 luglio quattro casi infetti, che erano stati all’aeroporto di Lukou, hanno assistito ad uno spettacolo culturale con più di 2mila persone a Zhangjiajie; due casi confermati oggi a Pechino sono inoltre tornati dalla suddetta località. Nel frattempo, la Cina ha attuato le solite misure di sicurezza: test a tappeto, tracciamento dei contatti dei positivi e confinamento di centinaia di migliaia di persone.

L’origine del cluster

Anche se il numero dei casi a livello nazionale è molto limitato rispetto ai dati registrati in altri Paesi, la situazione preoccupa le autorità per le quali l’obiettivo è uno soltanto: zero contagi. A questo proposito, la Commissione centrale per l’ispezione disciplinare ha criticato la gestione dell’aeroporto. Le autorità dello scalo sono state accusate di negligenza e di non esser state in grado di varare le misure di prevenzione e controllo per stoppare sul nascere la diffusione del Covid.

Ma qual è la fonte del focolaio? Secondo quanto riferito dal Nanjing Center for Disease Control and Prevention, i contagi deriverebbero da un volo proveniente dalla Russia. I membri del personale addetto alle pulizie dell’aeroporto cinese sarebbero stati infettati durante il lavoro di pulizia svolto nella cabina del velivolo. Stando alle indagini, i lavoratori avevano il compito di rimuovere i rifiuti sui voli nazionali e internazionali.

Tutti gli altri casi in aeroporto sono conseguenza dal contatto con gli addetti alle pulizie o dall’esposizione all’ambiente contaminato. La Cina si ritrova così invischiata in una nuova lotta contro il virus dopo mesi di sostanziale calma. Sia chiaro: i numeri, come detto, sono irrisori se raffrontati alle cifre registrate in altre nazioni. Ma Pechino non ci sta, e non intende avere casi sul proprio territorio. Tanto più importanti dall’estero.

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