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Mentre in Europa e nel Nordamerica la campagna vaccinale contro il Covid-19 procede a pieno regime, con un netto calo registrato sia delle nuove infezioni che dei decessi, non in tutto il Mondo le cose però stanno andando migliorando. Dopo l’allarme lanciato dall’Oms nei confronti del continente africano (o quale, anche a causa dei pochi vaccini disponibili, è a serio rischio di una terza, letale ondata) l’attenzione adesso è rivolta particolarmente verso i paesi dell’emisfero australe, i quali si stanno addentrando nella stagione più fredda dell’anno.

A preoccupare in modo maggiore, però, sarebbe la drammatica situazione che si sta vivendo in Perù quasi ininterrottamente sin dall’inizio della pandemia. E in modo particolare, le principali drammaticità che si stanno manifestando nelle province interne, cui sistema sanitario poggia sovente su ospedali scarsi e fatiscenti dove persino l’approvvigionamento di ossigeno diventa complicato e costoso. In uno scenario che, purtroppo, ha contribuito a rendere il Paese andino la Nazione che ha pianto più morti rispetto alla popolazione reale a causa della pandemia, superando quota 180mila vittime accertate.

Chota, la trincea del Perù nella lotta al coronavirus

Come riportato dall’agenzia di stampa Reuters, una città in Perù è stata colpita in modo particolarmente violento, non soltanto a causa delle condizioni climatiche estreme ma anche per le criticità, come visto in precedenza, dell’assistenza sanitaria ai contagiati. Si tratta di Chota, paese di oltre 40mila abitanti nella regione di Cajamarca.

Sprovvista di ospedali dotati delle attrezzature necessarie per assistere i pazienti affetti dalle complicazioni più  gravi, la città può essere definita come una vera e propria trincea della lotta peruviana al coronavirus. Essa, infatti, è lo stereotipo perfetto delle criticità che si stanno vivendo nel Paese: carenza di ospedali, vaccinazioni vicine allo zero e mancanza totale della dotazione medica basilare (come l’ossigeno) per affrontare il Covid-19.

Stando alle testimonianze, infatti, da oltre un anno a questa parte sarebbero circa mezza dozzina i funerali e le veglie per i malati che ogni giorno verrebbero celebrate nella città andina. Uno scenario drammatico, nei confronti del quale la politica e la sanità peruviana non sono riuscite a fornire le adeguate risposte, lasciando la popolazione dell’entroterra montuoso del Paese in balia solamente del destino.

I morti reali non sono quantificabili

Come riportato sempre dall’agenzia Reuters, ciò che preoccupa maggiormente è che in Perù, a differenza di quanto accaduto in Europa, i morti reali causati dalla pandemia potrebbero essere di gran lunga superiore. Ciò, principalmente, a causa delle difficoltà aggiuntive nel fornire diagnosi nelle zone più rurali e meno accessibili ed anche per una minore propensione a recarsi in ospedale in caso di complicazioni. E tutto ciò, in molte città, ha contribuito a creare un clima di shock dal quale le comunità difficilmente riusciranno a riprendersi nel giro di breve tempo.

A rendere ancora più drammatica la situazione, c’è da considerare come molte persone, sebbene assistite dagli ospedali locali, siano morte a causa della mancanza di ossigeno all’interno delle strutture o dell’impossibilità di rifornirsene a causa dei suoi costi troppo elevati. Uno scenario preoccupante, se si pensa a come un Paese dall’altitudine media superiore ai 2mila metri di quota dovrebbe essersi negli anni dotato dell’attrezzatura per far fronte alle complicazioni respiratorie.

Con le elezioni in Perù di domenica, tuttavia, la speranza è che il nuovo governo sia in grado di risolvere almeno alcune delle impasse che hanno tenute ferme il Paese. In primis la campagna vaccinale (mai davvero iniziata in modo significativo) e in secondo luogo una maggiore preoccupazione verso gli approvvigionamenti basilari per far fronte alla pandemia. Tutto ciò poiché, se la musica dovesse continuare, la sensazione è che Lima rischi di piangere un numero ancora più inquietante di morti causati dal Covid-19.

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